Castelmeteo. Un sito dedicato a Castelvetro di Modena,  meteorologia, arte, gallerie di foto antiche, moderne e la storia dell'antica fornace. A cura di Vinicio Cavallini


 

Se sei approdato qui direttamente, occorrerebbe prima leggere Come cambia il mare

 

 

Tanti saluti dal Motel Copanello

 

 

 

 (Luglio 1967).........giunti al Motel Copanello.....

 



   

 

 

 

 

 

L’ingresso
L’ingresso per gli ospiti appena arrivati era dal cancello che dava sulla strada principale, si entrava nel cortile con l’automobile per facilitare lo scarico dei bagagli. C’era una pianta rampicante, credo un glicine, di dimensioni davvero ragguardevoli che ramificava un po’ ovunque, al centro una grossa porta di vetro ad arco, era chiusa ma si intravvedeva la stupenda terrazza a picco sul mare. Si entrava da una porta sulla destra, dove c’era una piccola reception. Nelle vicinanze c’era anche l’ingresso di una saletta dove erano esposte delle bellissime conchiglie di mari tropicali, ero particolarmente attratto da queste (è sicuramente iniziata da qui la passione di Libero Gatti, che successivamente trasformò il motel in museo.
 


I titolari
Ad accoglierci il sig. Giovanni Gatti (senior), di origine modenese come noi, era un signore brizzolato, molto cordiale e dal fare tutt’altro che formale, un’accoglienza quasi familiare. Imparai in seguito che il sig. Giovanni si trovava in Calabria inizialmente obbligato da motivi storici risalenti alla seconda guerra mondiale. Conobbi anche il figlio Libero, un signore sulla trentina con capelli nerissimi e riga da una parte, sempre molto disponibile anche se apparentemente era un po’ più riservato rispetto al padre. Ho vaghi ricordi successivi al 1966 anche del figlio di Libero, Giovanni (jr.) un ragazzino vispo che scorrazzava nell’hotel, può anche darsi che una volta abbiamo giocato assieme, lo invidiavo molto perché viveva tutto l’anno in quel magnifico posto! Ricordo anche una ragazzina simpaticissima, approssimativamente mia coetanea, di nome Anna che veniva sempre con noi quasi tutti i giorni, però non ricordo se era un'autoctona, una cliente o una parente dei titolari.

 



 

 

 

 

La hall
Superata la reception si entrava nella hall del motel, sulla destra si trovava il bancone del bar, davanti c’era l’ingresso principale che proveniva dall’ ampio parcheggio e a sinistra le porte finestre per uscire sulla terrazza. In questa parte della hall erano distribuiti alcuni tavolini con delle sedie, in fondo c’era un’altra parte con dei divani e un affresco in stile moderno con colori sgargianti, forse un rifacimento di un quadro famoso che rappresentava un gruppo di persone (mi hanno suggerito: era La Danza di Henri Matisse). E’ qui che vidi per la prima volta la Baronessa Elvira Marincola Cattaneo, moglie di Giovanni. Era una donna di costituzione robusta, vestita sempre in modo assai vistoso, quasi egocentrico, ma quello che colpiva di più era la sua cultura a 360 gradi. Ricordo diverse serate trascorse su quei divani in sua presenza.
 


La struttura
Nonostante le abilità da piccolo esploratore, tipiche di ogni bambino che si trova in un luogo a lui sconosciuto, la struttura mi ha sempre riservato sorprese, disorientamenti e misteri. Probabilmente perché erano stati fatti ampliamenti e ristrutturazioni in diversi tempi. Le stanze più belle probabilmente erano quelle al primo piano. Noi abbiamo soggiornato anche in quelle sotto il livello della strada, essendo a picco sulla roccia, erano stanze completamente immerse nella vegetazione assai folta, per questo erano stanze molto fresche anche se un po’ buie e non era improbabile, lasciando la finestra aperta di ritrovarsi sul soffitto qualche innocuo e simpatico geco.
 



 

 

 

 

La terrazza
Sicuramente la parte del motel che lasciava a bocca aperta era proprio la grande terrazza, che sembrava volare tra il cielo azzurro e il mare dal colore blu profondo. Solo avvicinandosi all’inferriata di protezione ci si rendeva conto che in realtà non era proprio a picco sul vuoto dello strapiombo antistante, l’impressione però era proprio quella. Qui c’era l’immancabile cannocchiale a moneta, attrazione fatale per tutti i bambini, ricordo che il timer faceva un certo ronzio ben marcato.
Essendo esposto ad est di giorno la terrazza era poco frequentata per la temperatura spesso torrida, intensificata dal colore bianco del motel stesso, a volte c’era qualche ospite che prendeva il sole, ma il pieno lo faceva la sera, soprattutto dopo cena. Sopra le grandi porte di ingresso della hall c’erano dei neon per illuminare la terrazza, uno dei miei passatempi preferiti era osservare la moltitudine di gechi, anche una decina per ogni lampada, che catturavano con una velocità fulminea gli insetti attratti dalla luce. La domenica non era infrequente che si tenessero dei matrimoni con tanto di banda musicale, qualche volta mi sono però trovato in costume da bagno a dover passare in mezzo a tutta questa gente incravattata, questo non senza imbarazzo…
 



 

 

 

 

 

 

 

Il ristorante
Scendendo le scale davanti all’ingresso si accedeva al ristorante, anche questo sotto il livello della strada, aveva una vetrata lunga tanto quanto la stessa sala, quindi era molto luminosa nonostante la fitta vegetazione. Qui abbiamo scoperto una cucina nuova, tra cui l’uso massiccio del peperoncino rosso, in quei tempi era praticamente inutilizzato a Modena, ma l’abbiamo immediatamente importato e da allora sempre usato. Il cuoco si chiamava Scacchetti, me lo ricordo come un omone non più giovanissimo, capelli brizzolati, che regolarmente veniva ad informarsi sul nostro livello di gradimento ed a rispondere ad eventuali nostre domande sui piatti serviti, presente in cucina anche sua moglie. Il cameriere preferito era Vincenzo, un ragazzo giovane, capelli corvini, imbrillantinato, gentilissimo, sempre col sorriso sulle labbra e la battuta pronta. C’era anche un secondo cameriere, capelli rossi e ricci, ma non ricordo il nome. Il mio piatto prediletto era lo “spadino ai ferri”, ma c’era anche una variante “light” delle nostre lasagne con melanzane e mozzarella al posto del ragù.
 



 

 

 

 

 

La discesa al mare
Un sentiero abbastanza largo, ma non troppo ben tenuto, consentiva la discesa alla splendida scogliera sottostante, che era un’ottima variante nelle giornate che non era possibile o non avevamo voglia di andare a Pietragrande. Infatti per quella stretta maledetta strada statale, strettissima, assolutamente inadeguata, piena di curve era infestata da grossi camion che quasi si incastravano tra loro, non riuscendo a passare. A volte formavano delle code lunghissime, colpi di clacson a iosa,  sotto il sole cocente, nell’attesa che si sbloccasse la situazione, con anche rischi concreti di precipitare giù per la scarpata (e qualche relitto c’era, infatti!).
Tornando al sentiero l’odore dei pini era molto forte quasi inebriante, a metà del percorso si trovavano un paio di antri che qualcuno diceva che erano le grotte che avevano ispirato Omero per l’Odissea.
Una volta in fondo non restava che stendere l’asciugamano su di una roccia di granito orizzontale, liscia, che sembrava fatta a posta. Il mare era una piscina naturale in quel punto, ideale per la mia attività prediletta, lo snorkeling, la visibilità sott’acqua era di decine di metri, il mare quasi sempre perfettamente calmo sia a causa del promontorio a strapiombo sia dal forte vento di terra quasi perenne. Qui sotto era meglio stare solo al mattino perché già nel primissimo pomeriggio il sole si nascondeva. La salita era assai faticosa sia per la ripidezza, il caldo e le fatiche accumulate durante la mattinata.

 


 

 

 

 

 

 

 

.....Spero che queste poche righe servano a far suscitare in qualcuno dei ricordi splendidi, chissà se un giorno anche il motel  resusciterà?....

 

 

 


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