Castelmeteo. Un sito dedicato a Castelvetro di Modena,  meteorologia, arte, gallerie di foto antiche, moderne e la storia dell'antica fornace. A cura di Vinicio Cavallini


 

 

Chi disse questa frase?


Come ben sapete tra gli abitanti di Castelvetro e Levizzano ci sono sempre stati degli episodi di campanilismo.
Come si suole dire “Sebben figli dello stesso padre (lo stesso comune di appartenenza), si vogliono bene come Caino e Abele!”.
Non so sinceramente da dove nasca questo “odio” fraterno, ma so di certo che ha avuto origine tanti anni fa, vedendo protagoniste diverse generazioni e manifestandosi nei più svariati episodi.
Dalle “gavettonate” alle “frombolate”, dagli scherzi pesanti alle offese e qualche volta anche alle botte.
Sicuramente le prime diatribe nacquero a causa di “gelosie” territoriali, e non solo, tra gli orgogliosi Levizzanesi, che forse si ritenevano, e si ritengono tuttora, come indipendenti nella loro piccola comunità collinare, e i Castelvetresi, che appartenendo al paese principale e peccando forse di superiorità, invadevano i loro confini, entrando nelle loro osterie e magari corteggiando le loro belle ragazze che incontravano per le strade del paesino.
Sta di fatto che questa violazione della “privacy” Levizzanese, ha portato ad una vera e propria “guerra”.
Dopo questa breve introduzione, passerei ora a parlare di un notissimo personaggio di Castelvetro, che la generazione dei nostri genitori probabilmente ricorda ancora, che è stato protagonista di una storia singolare.
Ritengo doveroso scrivere di questo personaggio in modo di tenerne in vita il ricordo soprattutto quando anche le generazioni dei nostri genitori non ci saranno, c’è il rischio che il suo nome sparisca per sempre e soprattutto perchè questa “povera anima” non ha avuto la fortuna di avere dei discendenti che lo possano ricordare e purtroppo neanche più una degna sepoltura dove poter portare un fiore o sulla quale raccogliersi in preghiera per lui.
Si chiamava “Selmi Pellegrino” detto PELGREIN TITULOT nato a Castelvetro nel 1879 e morto nel 1944. Penso che suo padre si chiamasse “Giuseppe” ma non ne sono sicuro.
Era di origini umili; non si era mai sposato; amante del buon vino e quindi assiduo frequentatore delle osterie del paese; non si sa che mestiere facesse di preciso ma per passarsi il tempo fra una bevuta e l’altra girava con un carrettino per le vie del paese a raccogliere lo sterco dei cavalli; che cosa ci facesse poi con quella roba non lo so, presumo che la vendesse a sua volta come concime naturale per gli orticelli o per i fiori; certo che qualcosa di utile lo faceva sicuramente quello di mantenere la pulizia pubblica; come tutti gli ubriaconi era una fonte di ilarità per giovani e meno giovani a cause delle sue cadute, i suoi capogiri e la sua spontanea simpatia; ma era semplicemente innocuo; da buon religioso, anche se era ubriaco, tutte le volte che passava davanti al cimitero, si inginocchiava e ad alta voce chiamava la sua mamma e il suo papà, “parlando” con loro in un italiano correttissimo che a quei tempi non era usanza.
Un giorno, forse a seguito di una sua “scorribanda” notturna (e un po' alticcia!!), capitò in quel di Levizzano e immancabilmente raggiunse una sua meta preferita. L’osteria.
Si dice che un gruppo di beoni locali, sdegnati della presenza di un Castelvetrese nel loro locale e forse approfittando che era gracile, solo ed in più ubriaco, iniziarono a deriderlo ed umiliarlo.
Sentendosi deriso, fortemente spinto dall’amor di “patria”, si alzò e si diresse verso il tavolo dei suoi assalitori dove al centro brillava una candela.
In men che non si dica, mise il polpastrello del suo dito indice nella fiamma e lo lasciò fin quando la carne non iniziò a sciogliersi e senza lamentarsi dell’atroce dolore, a voce fiera disse:” io sono il più vile di Castelvetro!!”. E ritraendo il dito uscì dall’osteria lasciandosi alle spalle gli sguardi attoniti di quei tipi e di altri testimoni lì attorno.
Con questo gesto, l’orgoglioso Pellegrino volle far capire ai suoi nemici che se il più vigliacco del paese aveva il coraggio di farsi fondere un dito sfidando addirittura il dolore fisico impresso dal fuoco, provate a pensare i più coraggiosi cosa sarebbero stati capaci di fare.
Questa è una storia vera e tante altre hanno visto Pellegrino protagonista ma ve le racconterò un’altra volta.
Come vi dicevo, era solo, viveva emarginato in condizioni di estrema miseria in una casa-stanza (se si può chiamare così ) dove ore sorge il Club del Borgo e nonostante avesse dei nipoti (figli di un fratello) nessuno si prese mai cura di lui tanto che nel 1944, non vedendolo uscire da un paio di giorni, i vicini insospettiti entrarono e lo trovarono morto a letto.. e i topi, addirittura, gli avevano orrendamente rosicchiato il naso e le orecchie!! Che triste fine.
Caro Pelgrein, io non ti ho mai conosciuto perché sono nato tanti anni dopo la tua morte ma di te ne ho sempre sentito parlare; i tuoi compaesani ti hanno dimenticato per tanti anni ed il tuo nome e la tua triste storia stavano per essere dimenticati per l’eternità.
Con queste poche righe, ho voluto ricordarti affinché il tuo nome non venga mai cancellato dalla storia del paese e ti sei meritato con onore questo “spazio” dedicato a Castelvetro, che Vinicio ha costruito così eccellentemente, con la stessa importanza di un personaggio illustre politico o religioso che sia, grazie alla tua semplicità e al tuo orgoglio.

 

(Massimo Grampassi)


 


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