Castelmeteo. Un sito dedicato a Castelvetro di Modena, meteorologia, arte, gallerie di foto antiche, moderne e la storia dell'antica fornace. A cura di Vinicio Cavallini
La Storia
Ecco alcuni passaggi, che mi hanno particolarmente colpito, del libro "L'ARGENTIERA il giacimento, la miniera, gli uomini" di Luciano Ottelli. Un documento frutto di una lunga ricerca, un'indagine unica nel suo genere. Tutte le foto sono "cliccabili".
PREFAZIONE
Sono tornato all'Argentiera dopo 36 anni come in un pellegrinaggio.
La consapevolezza di essere ormai uno sconosciuto, ha reso più commosso il
ritorno in quei luoghi dove mio Padre lavorò per dieci anni.
Mi rivedo, liceale, giungervi con speranze, entusiasmi, sogni, per trascorrere
lunghe vacanze, premio delle fatiche di un anno scolastico.
Tutto si ripresenta della vita passata, nonostante il desolante abbandono di
oggi, di questa Borgata mineraria in cui hanno operato genti venute da paesi
lontani e da cui poi le proprie sono state costrette a migrare con il cuore
colmo di nostalgia.
Tutto rivivo di quel tempo con una intensità di cui, nei miei giovani anni, non
avevo che una vaga e indistinta percezione.
Percorrendo le poche vecchie strade che ancora conservano tracce del passato, mi
so-no tornati alla mente, p articolarmente vivi, volti, odori, suoni.
Tutto rivive di quelle estati assolate: la felicità di vedere la Famiglia
riunita e il forte ricordo di mio Padre, di mia Madre e di mia sorella Anna
Maria che oggi non ci sono più.
Rivivono i volti degli Amici di allora e le spensierate giornate passate
insieme.
Rivive il profumo del bellissimo e pescosissimo mare e il ricordo di Angolino
Massetti «vecchio lupo di mare» che mi fu amico e maestro di pesca subacquea.
Rivive il rumore assordante della laveria e dei frantoi vicinissimi alla nostra
casa.
Rivive l'inconfondibile odore della blenda depositata nei silos nei pressi della
spiaggia.
Rivivono i tanti volti delle persone che nelle serate estive, terminata la dura
giornata di lavoro, riempivano la piazzetta Camillo Marchese e mi
riportano
a momenti di grande serenità.
Con l'esperienza maturata in tanti anni di studi specialistici e di lavoro, ho
compreso appieno gli aspetti salienti della miniera che sono soprattutto
capacità, costanza, fortuna e tante difficoltà.
E quando Nietta, amica di allora e di sempre, ammalata della stessa nostalgia,
ha riu-nito un vecchio gruppo di amici, per la rinnovata Festa di Santa Barbara,
ho capito quan-to fossi legato intimamente a quel piccolo mondo.
Questo incontro e la visita agli antichi e angusti luoghi di lavoro a Miniera
Vecchia mi hanno spinto a descrivere i principali caratteri del giacimento e i
grandi problemi del-la miniera, che vogliono essere una piccola testimonianza
delle speranze e dei grandi sa-crifici affrontati dagli Uomini che hanno
lavorato all'Argentiera.
Accompagno questa nota con un ricordo rivolto ad Essi e alle Loro Famiglie, ai
miei Cari e a tutti gli Amici che ho avuto nella Borgata Mineraria.
LUCIANO OTTELLI
IL MINATORE
I minatori di una qualunque miniera, in una qualunque parte del mondo, sono
acco-munati dalla stessa condizione dolorosa, umiliante e disperata e ben si
adattano, anche per l'Argentiera, alcuni brani della lettera di accompagnamento
al libro di poesie «BETH-GER: IL LUNGO DOLORE» di Manlio Massole, minatore
iglesiente:
... «Per andare in miniera bisogna scendere. Sottoterra.
All'imbocco del pozzo si lasciano il sole e le nuvole, i boschi e le pernici. Si
la-sciano le mogli e i figli. Solo Dio, forse, ci si porta appresso nella
parte più inti-ma di noi se anch'Egli non ci abbandona laggiù fuggendo la
materia più profonda.
Nel terribile mondo della roccia e del buio sopravvivono solo uomini di roccia e
di buio che hanno necessità di dimenticare la coscienza di essere uomini che, se
li coglie nel buio del lavoro, li spinge nel pericolo della fuga o della
ribellione.
Da questo la necessità di riconoscersi, nelle otto ore di lavoro, materia pura
ri-mandando l'umanità alle ore del riposo, all'incontro, ogni giorno
meraviglioso e inaspettato, con la moglie e i figli» ...
Il giacimento, noto sin dall'antichità, fu oggetto di
intense lavorazioni da parte dei romani e dei pisani come testimonierebbero
alcuni reperti ritrovati sia nella zona di Mi-niera Vecchia, sia nella zona
Piata.
Il conte Alberto Lamarmora nel suo «Itinerario dell'Isola di Sardegna» descrive
l'Argentiera citando una serie di ritrovamenti effettuati nel 1865 entro un
pozzo profondo 80 metri nella zona di Miniera Vecchia:
«Si trovò un mucchio di cadaveri da cui si raccolsero le fibule, ed armi che
nota-vano un'epoca romana».
I ritrovamenti furono effettuati riprendendo i lavori entro i vecchi scavi.
L'unico vec-chio pozzo che è ancora visibile è indicato nelle figure 6 e 7; esso
è molto antico, come dimostra il rivestimento in pietrame, tuttavia è stato
utilizzato anche in tempi più recenti come testimoniano i resti di tubazioni
(acqua, aria compressa) presenti al suo interno.
Il Lamarmora riporta inoltre che nelle vicinanze dell'Argentiera «vi si
scopersero for-nelli a guisa di piccole fornaci, e di più una quantità di scorie
antiche che indicavano come l'antica miniera fosse in attività sin dal tempo dei
romani-».
Altri antichi scavi sono testimonianza della attività mineraria medioevale (fine
del 1200 inizi del 1300).
L'interesse degli antichi era focalizzato sulle mineralizzazioni a galena la cui
ricchezza in argento consentiva agli abili fusori del tempo un notevole ritorno
economico.
I toponimi dell'«Argentiera» e della «Piata» sono particolarmente significativi.
Nella seconda metà dell'800 si potevano ancora rilevare esattamente i vuoti
relativi alla estrazione della porzione di giacimento più ricca in galena (e
quindi di argento) men-tre restavano in posto le mineralizzazioni a blenda di
nessun interesse per gli antichi.
Questi scavarono secondo i loro metodi una grande quantità di pozzi, alcuni dei
qua-li raggiunsero profondità intorno ai sessanta metri dagli affioramenti.
Tali pozzi venivano approfonditi, seguendo la mineralizzazione, sino a quando
que-sta era presente o insorgevano problemi di ventilazione dei cunicoli o di
presenza di acqua.
Le notizie sui lavori antichi dell'Argentiera sono comunque frammentarie mentre,
più complete, le troviamo dal 1867 in poi.
La storia della miniera, per quanto, riguarda la proprietà della stessa, può
schema-tizzarsi come segue:
1867 - la miniera venne originariamente accordata in
concessione per minerali di piom-bo argentifero e zinco alla Marchesa Caterina
Angela Tola di San Saturnino con
R.D. 22.09.1867. Il vecchio piano del 1866, di cui le figure 8 e 9 riportano
copia dell'intestazione e della planimetria ove sono riportati i lavori antichi,
mostra l'u-bicazione della galleria Calabronis e del piccolo agglomerato di case
che costitui-vano allora tutto il complesso della miniera;
1870 - la concessione passò alla Soc. An. Minière et Metallurgique Sardo-Belge con atto 13.3.1870;
1872 - divenne titolare della concessione la ditta Luigi de Lamine di Liegi con atto 17.09.1872;
1873 - la concessione venne ceduta alla Compagnia
Generale delle Miniere con atto
30.04.1873;
1880 - si costituiva a Genova la Società Correboi con atto 6.7.1880;
1895 - la concessione pervenne alla Società An. delle Miniere di Correboi con atto 5.02.1895.
1929 - La Correboi, dal marzo 1929, passò sotto il controllo della Società Anonima Mine-raria e Metallurgica di Pertusola. Nello stesso anno, con D.M. 27.7.1929, alla Correboi venne affidata in perpetuo la concessione mineraria.
1963 - Anno della definitiva chiusura della miniera
che, ininterrottamente, dal 1895 era stata gestita dalla Correboi.
All'atto della chiusura la situazione all'interno della miniera era
rappresentata dalla sezione. In essa è riportato lo sviluppo della secolare
attività minera-ria durante la quale si registrarono alti e bassi legati a
fattori locali, ma anche a fattori di mercato nazionali ed internazionali.
vedere.
La miniera è una attività industriale complessa e la sua struttura dipende da
diversi fattori ma, essenzialmente, dalle caratteristiche del minerale da
estrarre e delle rocce che lo contengono. Spesso si sviluppa su più cantieri a
cielo aperto e in sotterraneo.
Le miniera iniziò a svilupparsi a cielo aperto e si estese ulteriormente con
gallerie scavate a mezza costa che vennero iniziate dall'esterno, sul fianco
della montagna, e raggiunsero il giacimento racchiuso in seno alla montagna
stessa. Una volta giunti al giaci-mento, con opportune traverse, si delimitò la
mineralizzazione.
Dove il filone affiorava, le gallerie vennero scavate lungo la sua direzione
(gallerie in Direzione) mentre altre vennero intestate normalmente o quasi alla
direzione del filone e spinte sino a tagliarlo trasversalmente (gallerie in
Traverso Banco) quindi prosegui-te lungo la direzione per consentirne lo
sfruttamento.
All'Argentiera esempi di gallerie in Direzione sono la GALLERIA RIETTO e la
GALLERIA MARE , mentre l'esempio del classico Traverso Banco è for-nito dal
primo tratto della GALLERIA CALABRONIS.
Tali gallerie, di altezza non superiore a 2 metri, si svilupparono pressoché in
oriz-zontale con una debole pendenza verso l'uscita per favorire lo smaltimento
di eventuali acque presenti e il trasporto verso l'esterno dei vagoni carichi di
minerale abbattuto. Presero anche il nome di «LIVELLO» (livello +30, +50,
ecc...) a seconda della quota di intesto riferita alla quota zero (livello del
mare). Cioè la galleria Rietto o livello +30 ha il suo imbocco alla quota di 30
metri sopra il livello del mare.
Le gallerie, i pozzi e alcune strutture minerarie venivano spesso individuate
anche con nomi propri, come ad esempio la stessa galleria Rietto, la galleria
Calabronis, la mi-neralizzazione «Leopoldo», i gradini di coltivazione «Cherchi»,
«Tolu», ecc...
I livelli a diverse quote venivano collegati mediante «FORNELLI», che sono dei
pozzi verticali o o inclinati (i più diffusi all'Argentiera data la pendenza del
filone), a piccola sezione (m. 0.80 x m. 1,00) che servivano per il passaggio
del personale (in tal caso erano attrezzati di scale) o per il getto di
materiale (da un livello superiore a quello inferiore di «CARREGGIO» dotato di
binari per il trasporto dei materiali su vagoni) o per ventilazione (assicurare
il costante ricambio d'aria nei vari cantieri).
Si riporta per intero la descrizione che Quintino Sella fece del giacimento
dell'Ar-gentiera nella sua relazione al Parlamento del 1870:
«Dai due distretti silurici d'Iglesias e di Monte Alvo passiamo a quello della
Murra, nell'estremo NO dell'isola per descrivere il solo rappresentante, che
tutt'ora si conosca in quella contrada, di questa classe di filoni
caratterizzata dalla presen-za, come matrice, del Fahierz (1), che basta a farne
sospettare l'importanza ri-spetto alla ricchezza argentifera.
Lo scisto di questo distretto è intersecato al Capo dell'Argentiera da un
filo-ne della stessa denominazione, il quale ha la direzione N. NE., e passa
poco lon-tano dal seno di mare detto Porto di San Nicolo; la sua inclinazione è
di 45°-50° verso ponente.
Questo filone assai interessante è diviso in due zone denominate l'una FILONE
DEL MURO o FILONE DI SAN ROCCO, l'altra FILONE DEL CADENTE o FILONE SOTTO
L'ACQUA, le quali sono sensibilmente parallele fra loro e separate da una terza
zona intermedia pressoché sterile. Una sezione fatta attra-verso la giacitura,
nel gennaio 1869, da per composizione della medesima, a par-tire dal muro ovvero
dalla parte inferiore, le seguenti suddivisioni:
1° FILONE DEL MURO o FILONE DI SAN ROCCO: blenda e quarzo con poca galena argentifera, spessore metri 2
2° Scisto duro » }
3° Argilla con noccioli di minerale » 7
4° Scisto in decomposizione con minerale » 2
5° Scisto duro » 0,70
6° FILONE DEL CADENTE o FILONE SOTTO L'ACQUA: blenda, galena argentifera, quarzo e Fahlerz » 3
Spessore totale » 9,70
Ma la zona intermedia (2, 3, 4 e 5) risulta per lo più formata da un insieme
confuso di argilla e scisto in decomposizione, di poca resistenza, contenente
mi-nerale disseminato e in grani.
La parte metallifera del filone San Rocco consta essenzialmente di blenda, la
galena non figurandovi che allo stato di rare impregnazioni o di sottili vene
senza continuità.
Il filone Sotto l'Acqua presenta in generale un miscuglio intimo di blenda,
galena, quarzo e Falherz nel quale però presentansi qua e là concentrazioni del
minerale piombifero quasi scevre di blenda.
La galena di questa giacitura è molto argentifera.
Gli antichi hanno coltivato questo filone, evidentemente per estrarvi i
mi-nerali argentiferi, come la denominazione di capo dell'Argentiera e quella di
rocca della Piata rimaste a quelle località indicano bastantemente. Vi si
osservano gli spaziosi scavi mediante i quali venne estratta la porzione della
giacitura più ric-ca in piombo, e lasciata invece la parte essenzialmente
blendosa. Questi scavi scendono sino al livello della valle, cioè 60 metri sotto
la sommità dei due pozzi ivi aperti dall'affioramento del filone.
Lo scolo delle acque veniva procurato mediante un cunicolo che spingevasi dal
piano di essa valle fino all'incontro della massa metallifera per una lunghez-za
di 80 metri.
Questa miniera era stata concessa nel settembre 1867 a donna Catterina Tola,
marchesa di San Saturnino, da cui poscia passò alla Società detta Sardo-Belga,
fondata con capitali del Belgio. Questa vi attivò tosto una buona ripresa dei
la-vori, prendendo per base la galleria di scolo degli antichi, detta di SU
CALABRONI (figure n. 18, 19, 20), che trasformarono in galleria di estrazione.
Superiormente al livello della stessa coltivarono i minerali ancora lasciati
dagli antichi sopra una lunghezza di circa 300 metri e quindi per mezzo di
poz-zetti interni presero a scavare sotto il livello della galleria stessa.
Stante la potenza della giacitura e la poca consistenza dello scisto incassante,
che frana facilmente sotto l'influenza del contatto dell'aria e delle acque,
tali lavori riuscirono assai costosi per la necessità dei riempimenti degli
scavi fatti.
Inoltre, l'uno dei filoni, o, se vuolsi, l'una delle zone, essendo composta
pres-soché di sola blenda con pochissima galena, e l'altra nella sua parte più
ricca pressoché esaurita dagli antichi sino al livello della galleria di scolo,
la società non trasse sinora gran vantaggio dei suoi lavori, limitati
superiormente dalla poca ricchezza, dalle acque nella parte inferiore.
Spinta però dalla lusinga che il filone realmente presentava per ambe le zone ad
una maggiore profondità, la Società decideva sotto l'abile direzione
dell'ingegnere Gordinne di far affondare dall'esterno un grande pozzo destinato
a tagliare il filone a 58 metri sotto il livello della galleria di scolo, e
farne quindi un pozzo di estrazione e di esaurimento delle acque, in caso di
risultato favorevole.
I prodotti della coltivazione di questa interessante giacitura sono la blenda
(proveniente specialmente dal filone San Rocco), i minerali misti di galena e
blen-da e la galena, provenienti questi dal filone Sotto l'Acqua. Essi sono
spediti nel Belgio, dove i minerali misti subiscono una speciale preparazione
meccanica stabilita nelle vicinanze di Anversa.
Secondo le denuncio ufficiali della società coltivatrice, la media della
ricchezza in argento dei prodotti piombiferi sinora ottenuti oscilla fra i 300 e
i 350 grammi di argento per quintale di piombo contenuto.
Nell'anno 1869 erano impiegati in questi lavori circa 100 operai, dei quali la
metà (manovali e cernitori del minerale) isolani.
I minerali scendono al porto di San Nicola sui carri a buoi del paese; e di là
sono caricati da battelli di Alghero per Porto Conte, nella cui rada vengono a
levarli i bastimenti destinati ad esportarli, con una spesa, messi a bordo, di
lire 0,90 a 1 per quintale.
La necessità indeclinabile, se vuolsi proseguire la lavorazione, di provvedere
all'impianto del grande pozzo colle necessario macchine per l'estrazione dei
materiali e l'esaurimento delle acque e la difficoltà di trovare gli occorrenti
ca-pitali dopo gli ultimi avvenimenti politici di Europa, induceva, nel secondo
se-mestre del 1870, alla sospensione totale dei lavori di questa, del resto,
interessante miniera-».
Si è voluta riportare per intero la relazione di questo prestigioso scienziato
perché nella Sua breve descrizione è riuscito a far emergere tutti i caratteri
salienti del giaci-mento e della miniera, che si manterranno pressoché simili
nel corso di circa un secolo di lavorazioni successive.
Tra le varie costruzioni allora esistenti si riconoscono quelle di cui alle
figure 22 e 23 mentre la scritta che segue è copia dell'originale tratta dalla
carta in scala 1:500, fir-mata dall'ing. Alberto Enrile, risalente al 12
novembre 1878.
Si può notare che in quell'anno risultavano già scavate numerose gallerie:
Rietto alla quota di 30 metri sopra il livello del mare; Calabronis alla quota
di 50 metri sopra il livello del mare; Superiore alla quota di 70 metri sopra il
livello del mare.
Risultavano altresì effettuate anche le gallerie che si affacciano sul mare e
che se-guono la propaggine sud occidentale del filone, che quasi certamente
prosegue in mare alle quote più basse.
Un altro particolare importante che può desumersi dalla stessa carta è
l'indicazione precisa dei pozzi e delle coltivazioni (estrazione sistematica del
minerale) effettuate da-gli antichi e delle gallerie, pozzi e coltivazioni
effettuate dalla ripresa della miniera sino a tutto il 1878.
Si può infine rilevare che a quella data non esistevano ancora lavori a quote
inferiori al livello del mare.
In alcuni punti dell'affioramento possono ancora riconoscersi i vecchi metodi di
la-vorazione mineraria.
Scavo delle gallerie
Le modalità di scavo delle gallerie, nel tempo, si possono facilmente
riassumere. In-fatti, dall'antichità sino alla metà del settecento la roccia
dura veniva abbattuta con l'au-silio del fuoco. In prossimità della fronte di
scavo, veniva acceso un grande falò che riscaldava fortemente la roccia sulla
quale venivano lanciati dei secchi d'acqua che, ab-bassando repentinamente la
temperatura, ne producevano la fratturazione e lo sgretolamento. Sulla roccia
così modificata era possibile intervenire con il piccone e abbatterla. Sulla
roccia tenera si interveniva direttamente con il piccone.
In miniera, nella seconda metà del settecento, cominciò ad essere usata la
polvere nera e successivamente la cosidetta dinamite.
Per poter abbattere la roccia era necessario eseguire sulla fronte un dato
numero di fori («fori da mina») secondo un certo schema, riempire tutti i fori
con esplosivo e ac-cendere le micce ad esso collegate provocandone il
«brillamento» (esplosione).
In gergo minerario tale operazione è nota come «VOLATA».
In passato il minatore batteva con una mazza su un ferro che aveva sulla punta
un tagliente. Ad ogni colpo faceva ruotare il ferro stesso e periodicamente
ripuliva il foro dai detriti che vi si accumulavano. Raggiunta la profondità
prevista, passava alla perfo-razione di un altro foro sino al completamento
dello schema prefissato. Spesso i minato-ri erano due (mazzacoppia).
I fori verso il basso venivano effettuati con la barramina, che consisteva nel
solleva-re, facendogli fare una piccola rotazione, e lasciar cadere il lungo
ferro (pistolotto) sul fondo del foro in perforazione.
Negli ultimi anni del secolo scorso, con l'utilizzo dell'aria compressa, fecero
la loro apparizione le prime perforatrici che sveltirono il lavoro di
perforazione dei fori. Le perforatrici furono perfezionate nel tempo.
Armamento
Per proteggersi dalle insidie della roccia che all'Argentiera si presentava
spesso incoerente, alterabile all'aria e comunque staccante, il minatore
provvedeva ad «Armare» le gallerie contrastandone la tendenza a franare e a
chiudersi. Ciò avveniva utilizzando quasi esclusivamente legnami posti a
contrasto delle pareti o a puntellare singoli blocchi delle volte. Con lo scavo
delle gallerie in orizzontale, dei fornelli, dei pozzi e lo sviluppo delle
coltivazioni, la tecnica di armamento in legno si estese intensamente
all'utilizzo dei supporti completi, i cosiddetti «QUADRI».
I puntelli utilizzati all'Argentiera erano costituiti da tronchi di pino della
Corsica con diametro variabile da 30 a 80 centimetri e quindi di dimensioni
inusuali per le miniere sarde.
Coltivazione
L'estrazione sistematica del minerale contenuto nel giacimento è chiamata
«COLTIVAZIONE» ed avvenne all'Argentiera con metodi diversi ma sempre con
SISTEMI DI COLTIVAZIONE CON RIPIENA in cui ad uno spoglio anche parziale del
giacimento, si fa seguire il riempimento del vuoto con materiali sterili.
Infatti le caratteristiche delle rocce incassanti il giacimento erano di tale
fragilità e di tale predisposizione al franamento che i vari vuoti avevano
tendenza a chiudersi in brevissimo tempo dal momento dello scavo.
Nella coltivazione con ripiena si procedeva sopra il materiale di riporto
(ripiena) creando verso l'alto dei gradini che venivano abbattuti con le mine.
Il materiale della ripiena arrivava dall'alto attraverso apposito fornello; il
minerale abbattuto veniva invece scaricato, sempre con apposito fornello, verso
una galleria più bassa (GALLERIA DI CARREGGIO), munita di binario e posta alla
base del fornello stes-so, per essere trasportato all'esterno. Pozzi
Quando il giacimento non fu più raggiungibile mediante gallerie scavate
attraverso il fianco della montagna, si scavarono pozzi verticali profondi che
vennero attrezzati con «GABBIE», speciali ascensori nei quali era consentito il
trasporto del personale e dei ma-teriali.
Il pozzo principale di estrazione era il POZZO PODESTÀ dal nome del ba-rone
Andrea Podestà, Presidente del Consiglio di Amministrazione della Società
Correboi. Esso fu intestato alla stessa quota (+30 metri s.l.m.) della galleria
Rietto, aveva una sezione circolare con un diametro di metri 3,60 ed era
completamente rivestito in mura-tura. La sezione era circolare per contrastare
meglio le pressioni dei terreni circostanti costituiti da scisti degradati e da
ampie fasce argillose.
Il guidaggio (2) per le gabbie era in legno con quadri ogni due metri; la
macchina di estrazione, costruita dalla ditta Calzoni di Bologna, era a vapore
con motore a due cilin-dri di 50 cavalli di potenza. I freni erano a vapore e a
nastro, azionabili a mano e a pedale; i tamburi erano due, del diametro di 2
metri, metallici con doghe in legno. La fune metallica era a fili sagomati
Felten e Guillaume a superficie esterna liscia. La velocità di estrazione era di
4 metri al secondo per i materiali e un metro al secondo per il personale.
Il castelletto di estrazione, in muratura e ferro, venne costruito con i mezzi
della mi-niera. La gabbia era ad un piano ed era munita di paracadute (3) a
ganasce.
Il pozzo era diviso in quattro comparti di cui due destinati alle gabbie, uno al
com-parto scale e uno alle tubazioni dell'acqua e dell'aria compressa e al
passaggio dei vari cavi.
Con la costruzione del pozzo, successivamente al 1890, venne iniziato il primo
livello ad una quota al di sotto del livello del mare (il livello -5 chiamato
anche livello Podestà).
Lungo il pozzo che metteva in comunicazione l'esterno con il sotterraneo si
stacca-vano a varie profondità i diversi livelli, attrezzi di binario, su cui
potevano scorrere i car-relli che, carichi di materiale, venivano portati
all'esterno. Quivi, sempre su binario, i carrelli, spinti dall'uomo o trainati
da muli, venivano inviati all'impianto (quando il ma-teriale estratto era
costituito da minerale frammisto a quantità diverse di materiale ste-rile che
prende il nome di GREZZO o TOUT-VENANT) o in discarica (quando il materiale
estratto era costituito da materiale sterile).
All'estremo nord-est fu scavato il Pozzo Alda (figure 28 e 29} per seguire in
profondità alcune ricche mineralizzazioni già coltivate dagli antichi sino alla
profondità di 20 metri. (2) GUIDAGGIO: sistema di assi in legno disposti
verticalmente lungo il pozzo che impediscono alla gabbia sensibili scostamenti
dalla verticale. (3) PARACADUTE: sistema atto ad impedire che la gabbia
precipiti nel pozzo in caso di rottura della fune.
Arricchimento del minerale
Il minerale esce dalla miniera generalmente frammisto a materiale sterile delle
va-rie rocce che contengono il giacimento. Per poter rendere commerciabile il
minerale oc-corre separarlo dal materiale sterile, ovvero occorre concentrarlo
(«arricchirlo»).
Nei primi tempi di vita della miniera tale «arricchimento» veniva fatto
all'esterno da donne e bambini mediante «cernita a mano» cioè scegliendo
manualmente, nel muc-chio, i blocchi di minerale molto ricco da separare.
Alla fine dell'800 RIMPIANTO DI ARRICCHIMENTO» esistente all'Argentiera,
de-nominato anche «LAVERIA» in quanto il minerale veniva separato esclusivamente
per lavaggio sfruttando le differenze di peso specifico tra i minerali e gli
sterili ad essi con-nessi, aveva una struttura molto semplice.
La Laveria trattava 42-45 tonnellate di grezzo al giorno fornendo circa 18
tonnellate di minerale mercantile di cui 9/10 di blenda e 1/10 di galena. Gli
sterili grossolani risul-tanti da tale processo venivano messi in discarica
mentre i fanghi di lavaggio che nor-malmente vengono depositati in appositi
bacini di decantazione, all'Argentiera venivano scaricati direttamente in mare.
Il minerale concentrato veniva caricato su barche a vela che attraccavano sulla
spiaggia di San Nicola e trasportato a Porto Conte dove veniva trasferito su
battelli che facevano rotta verso i porti del Nord Europa.
Fine '800
Alla fine dell'800 la miniera, sotto la direzione dell'ing. Daneri, assunse una
certa organizzazione anche se persistevano le difficoltà di approvvigionamenti e
di contatti con il mondo esterno. Nel 1893 venne assunto un medico, il dr. G.
Beretta, e venne aperto un «piccolo ospedale» ad uso dei dipendenti della
miniera. Si riporta copia della nota originale della comunicazione di quanto
sopra fatta al Distretto Minerario da parte della Società di Correboi.
I lavori di coltivazione si svilupparono essenzialmente tra il livello -40 e il
livello Po-destà (-5) mentre vennero esauriti i gradini di coltivazione nella
vena «Leopoldo» tra il livello -5 e il livello Rietto (+30). Quest'ultimo
livello, pur esaurito completamente, venne mantenuto aperto e in buone
condizioni di stabilità per assicurare una normale venti-lazione della miniera.
Il livello -40 venne spinto in dirczione SW e vennero approfonditi alcuni
pozzetti.
Nel 1897 il Pozzo Podestà raggiunse la profondità di 126 metri (-96 s.l.m.)
attraver-sando il filone tra le progressive di m. 95 e m. 105 (rispettivamente m
65 e m 75 sotto il livello del mare).
Il livello Podestà (-5) venne scavato verso NE per comunicare con il Pozzo Piata
e per ricercarvi nuove mineralizzazioni.
Il livello -40 venne spinto verso l'estremo SW mentre continuavano le
coltivazioni tra lo stesso liv. -40 e il soprastante -5.
Dall'inizio dell'anno tutta la galena argentifera prodotta, che prima si inviava
ad An-versa, venne inviata in stabilimenti nazionali.
Alla fine del secolo, dal Pozzo Podestà ebbe inizio lo scavo del livello -75
limitandosi ad avanzare verso sud ovest in quanto le ricerche effettuate a NE
non diedero buoni risultati.
Gli scavi interessarono in prevalenza rocce franose. Ciò fu la causa principale
dei gravi infortuni che si verificarono nella miniera.
Non si conosce la situazione degli infortuni nel periodo che precede il 1890,
anno in cui la gestione della miniera passò alla Società Correboi.
«Dal 1890 al 1899 si verificarono all'Argentiera tré incidenti mortali e quattro
inci-denti gravi causati da distacco di roccia» (S. Ruiu «L'Argentiera», 1966,
pag. 267). Primi '900
Dai primi del '900 sino alla fine della prima guerra mondiale l'ing. Ottavio
Garzena diresse la miniera e le diede un ulteriore grande sviluppo. Le figure 32
e 33 mostrano il centro dell'abitato nei primi anni del '900, anni in cui in
sotterraneo si lavorava su diver-si gradini m coltivazione contemporaneamente
sia al livello -40, sia al livello -75 II filone appariva ovunque ben
mineralizzato e alcune coltivazioni avevano una larghezza sino a 12 metri.
Nel pozzo Podestà la macchina di estrazione venne sostituita con una della ditta
Calzom-Tamburi della potenza di 50 CV, il castello di estrazione venne innalzato
di sei metri raggiungendo l'altezza di 15 metri e le gabbie vennero munite di
paracadute.
Alcuni infortuni dell'inizio secolo sono ben documentati nei rapporti ufficiali:
• il 6 ottobre 1902 alle ore 22,30 circa, all'interno
del pozzo 00 (un pozzo interno che col-legava il livello -105 con il livello
Podestà alla quota -5 ), il vagonista Cuccuru Salvato-re di Salvatore di anni 28
da Pozzomaggiore subì un infortunio.
Il Cuccuru aveva risalito le scale del pozzo per circa 35 metri. Dal livello
-105 andava verso il livello -5 quando si sporse all'interno del pozzo (nel
punto indicato con l'asteri-sco) restando ferito gravemente dal contrappeso che
in quel momento scendeva a causa della risalita della gabbia a cui il
contrappeso stesso era collegato.
L'infortunio costò al Cuccuru la frattura del braccio sinistro e il distacco
quasi tota-le di un orecchio.
• II 19 dicembre 1902 alle ore 3,30, i due vagonisti
Atzori Gavino e Pinna Pietro di Gio-vanni di anni 28 da Siamanna, dopo aver
caricato un vagonetto con circa 800 Kg di minerale in una traversa della
galleria Rietto, lo spingevano sulla piattaforma girevo-le per sistemarlo sul
binario della galleria principale.
Il vagonetto era incernierato nel punto B. Esso uscì dai binari e il tentativo
dei due operai di sollevarlo e rimetterlo sui binari si risolse con una
rotazione della cassa intorno al punto B con conseguente rovesciamento di tutto
il materiale contenuto nel vagone addosso al Pinna, che riportò la frattura del
malleolo della gamba sinistra.
• II 7 novembre 1904 alle ore 17,30 si verificò un incidente in un avanzamento
tra i livelli
-40 e -75.
Il minatore Contini Giuseppe di Francesco di anni 24 stava praticando una «MORTUA-
SA» (4) al PIEDE (base) della galleria quando venne colpito da un blocco di
roccia sci-stosa staccatesi dalla «CORONA» (tetto della galleria).
Il Contini riportava la frattura della tibia e del perone della gamba destra.
Il 1907 vide un incremento dei lavori, ma l'attività mineraria fu funestata da
due in-fortuni mortali:
• II primo avvenne il 22 maggio 1907 verso le ore 22,30
in un gradino di coltivazione all'interno della galleria a mare dove la
Compagnia composta dai minatori RIOLI Leo-nardo (Capo Compagnia), FLORINI
Gemignano e FALCHI Angelo era intenta alla costruzione di un muretto a secco.
I tre minatori si trovavano a distanza di pochi metri l'uno dall'altro quando ad
un tratto, nel punto in cui lavorava Falchi Angelo, dalla corona della galleria
si staccò un grosso blocco di materiale che lo colpì provocandogli la rottura
della spina dorsale. Il Falchi morì poco dopo mentre gli altri due operai
restarono illesi.
Venne accertata l'esistenza di una superficie levigatissima (scisto argilloso)
che si tro-vava nella parte superiore e che avrebbe quindi favorito il repentino
distacco e la ca-duta del materiale sterile.
Purtroppo la stessa situazione di grave instabilità delle rocce fu causa, a
distanza di meno di un mese, di un altro infortunio mortale.
• II 16 giugno 1907 alle ore 7,45, nel gradino di
coltivazione denominato «TOLU» sopra il livello -75, lavoravano i minatori ZARA
Giò Maria di anni 39 da Florinas, LOI SIAS
Giuseppe di anni 43 di Noragugume e MANFREDINI Giuseppe fu Romualdo di anni
40 da Montevenere, che fungeva da Capo Compagnia.
Mentre cernivano il materiale abbattuto con la precedente volata, dalla corona
si stac-carono improvvisamente circa 2 metri cubi di materiale argilloso
scistoso del tetto del filone, inclinato in quel punto di circa 50°, che colpì
gravemente alla schiena il mina-tore Manfredini Giuseppe che cessò di vivere
alle ore 15 dello stesso giorno. I soliti piani di distacco, argillosi, lucenti
e untuosi avevano favorito il distacco e la conseguente caduta della roccia. Il
tratto di galleria che precedeva il punto dell'incidente era armato con puntelli
di grossissimo diametro, 40-60 centimetri, segno di particolare instabilità e di
pericolo di tutta la zona.
Il 1908 vide un ulteriore sviluppo dei lavori di approfondimento pozzi, di
tracciamento di gallerie e di coltivazione. In particolare continuarono i lavori
nella parte alta del giacimento coltivata dagli antichi con le gallerie a mare,
Rietto, Calabronis e Superiore in cui si recuperavano le porzioni di filone
lasciate in posto, costituite in prevalenza da blenda, e si recuperavano le
ripiene anch'esse ricche di blenda che i vecchi coltivatori avevano trascurato
perché non di loro interesse.
Nelle zone più basse risultavano in coltivazione numerosi gradini: CHERCHI e
RAVANELLI tra il livello -40 e il livello Podestà (-5). Il primo era, al tempo,
il più ricco della miniera e la sua prosecuzione verso il basso veniva
considerata come la porzione del giacimento che da sola avrebbe potuto dar vita
alla miniera per diversi anni; BUSIA, ROSSI, MARCEDDU, TOLU tra il livello -75 e
il livello -40 in diverse aree della miniera.
Per riservare il pozzo Podestà alla estrazione del minerale, veniva approfondito
dal livello -75 al livello -125 il pozzo interno denominato 00 che sarebbe stato
utilizzato sia per la discesa del legname, sia per la discesa degli operai lungo
il reparto scale.
Era il tempo in cui «si progettava di ingrandire la laveria per compensare il
lavoro perduto nei giorni festivi prescritti dalla legge. Finora i giorni di
riposo durante l'anno erano circa 10-11 in totale».
Il 16 giugno 1909 la galleria Superiore fu teatro di un nuovo infortunio.
• Alle ore 16,45 il minatore capo sciolta (5) SOLINAS Tomaso fu Angelo si apprestava a «disgaggiare» (rimuovere con appositi attrezzi il materiale che resta parzialmente stac-cato dalle pareti o dalla corona della galleria e che comunque si trova in condizioni di instabilità dopo lo sparo delle mine) la corona di un gradino, quando un pezzo di roccia si staccò dalla stessa corona colpendolo alla gamba destra e procurandogli la frat-tura della tibia, del perone e del malleolo.
Secondo decennio del 1900
I lavori eseguiti sino al momento consentono di definire meglio le
caratteristiche del giacimento. La pendenza si mantiene sempre intorno a 45°-50°
verso Nord-Ovest mentre la mineralizzazione non è regolare.
Infatti possono distinguersi tre zone principali:
— ZONA SUD OVEST: è costituita da due vene in affioramento e da una in profondità; presenta la massima potenza (spessore) fra il livello -40 e -75 e si raccorda alla zona centrale con un tratto di filone pressoché sterile;
—ZONA CENTRALE (MEZZERIA): è costituita in generale da
due vene collegate da vene secondarie mineralizzate con direzione Nord-Sud che
non si sviluppano oltre le vene di tetto e di letto; gli incroci tra le vene,
quando esistono, sono marcati da intenso ar-ricchimento della mineralizzazione.
Anche in questo caso la maggiore potenza si sviluppa in affioramento dove le
singole vene, aprendosi a ventaglio, danno luogo a coltivazioni parallele.
La ricchezza e la potenza diminuiscono generalmente verso il basso. La zona
centrale
è collegata a quella di levante dalla galleria Podestà alla quota -5 metri
s.l.m. che ha seguito un lungo tratto di filone sterile.
— ZONA LEVANTE (PLATA): Presenta poche tracce in
affioramento mentre in profondi-tà la ricchezza aumenta a partire dal livello
Podestà (-5) sino al livello -70.
La zona mineralizzata è ricca.
In sintesi allo stato dei lavori poteva dirsi che la potenza massima del filone
si aveva all'affioramento della zona centrale, l'estensione e la potenza delle
zone mineralizzate era variabilissima e si poteva ritenere di 4,50 metri come
media con massimi di poten-za intorno a 8-9 metri. La fascia filoniana
comprendente la mineralizzazione raggiun-geva in alcuni tratti spessori intorno
a 30 metri.
La roccia incassante è quasi sempre formata da scisti di natura assai franosa
eserci-tanti pressioni notevoli soprattutto in vicinanza del filone. Ciò ha
obbligato ad effet-tuare notevoli lavori di armatura ed ha costituito sempre una
situazione di pericolo per i minatori dell'Argentiera.
La ganga del filone è essenzialmente quarzosa, talvolta con disseminazione
di pirite e rara barite. La parte utile del filone è quasi completamente
costituita da blenda, talvolta mescolata a quarzo. La galena argentifera si
incontra in vene e venette ora iso-lata. ora nella blenda. Si presenta
generalmente a struttura cristallina e a grana fine.
Tra i minerali associati, ma non in modo continuo, sono stati rilevati burnonite,
stibi-na, pirite, calcopirite, limonile.
Gli anni seguenti videro lo sviluppo dei lavori in profondità con il persistere
di alcu-ne situazioni particolari: — scarsità di presenza d'acqua in sottosuolo
con eduzione (7) di circa 80 metri cubi d'ac-qua al giorno; —enorme consumo di
legname per armamento.
Non si ha notizia di infortuni gravi. Solo qualche incidente legato a
disattenzione.
Vennero studiati e applicati nuovi sistemi di carico dei minerali sui barconi e
quindi sul vapore alla fonda nella rada. I lavori minerari alla quote superiori
al livello Rietto si ritennero esauriti, però si man-tenne aperta la galleria
con l'uso di armature molto robuste (quadri distanziati di 50 cm aventi diametro
variabile da 60 a 80 centimetri).
Per fare il punto sull'andamento delle ricerche in profondità a levante del
Pozzo Po-destà si riporta uno schema e alcune considerazioni dell'ing.
Taricco (8) rela-tivamente allo sviluppo della mineralizzazione ai diversi
livelli nel corso dei primi mesi del 1913:
«... pare che la colonna prometta assai bene: trovata al livello Podestà (-5) e
al livello intermedio (-40) andò ispessendosi al livello -75 che trovò una
seconda zo-na «B»; al livello -125 le due zone sono riunite e ispessite,
cosicché si prevede al livello -175 uno spessore rilevante».
Il Taricco rileva ancora che «Le ricerche sotto il livello -125 non venivano
spin-te con premura, avendosi ancora molti cantieri superiori da coltivare e
piutto-sto deficienza di minatori che, imparato il mestiere, emigrano».
Incendio
I primi mesi del 1914 furono caratterizzati da una lunga fermata dovuta ad un
vi< lento incendio che si sviluppò all'interno della miniera favorendo il crollo
di numeros gallerie e mettendo a rischio la vita della miniera stessa. Vale la
pena di riportare l'intera nota che il Direttore di allora, l'ing. Ottavio
Garzena, inviò al Distretto Minerario e Iglesias in data 24 aprile 1914
relativamente all'incendio sviluppatesi nei lavori interni della Miniera il
giorno 1 febbraio 1914:
«Il mattino del lunedì, 2 febbraio alla ripresa del lavoro dopo il riposo
domeni-cale, trovammo preclusi tutti gli accessi ai lavori interni da un fumo
denso ed asfissiante. Dopo numerosi e pericolosi tentativi, manovrando
rapidamente le gabbie del Pozzo Podestà, si riuscì a raggiungere il livello più
profondo, 155 (-125), e ad accertarsi che il fumo proveniva dai cantieri a
Ponente del Pozzo. Con squadre di operai susseguentesi ogni quattro o cinque
minuti, direttamente sorvegliate dal personale tecnico, si provvide rapidamente
e successivamente alla chiusura a ponente del Pozzo principale dei livelli 155
(-125), 105 (-75), 70 (-40) e Podestà (-5) e contemporaneamente a quella dei
livelli Mare (+10), Rietto (+30) e N. 2 o Calabronis che sboccano a giorno.
Il giorno seguente, spostando successivamente le chiusure verso ponente nei
li-velli -125, -75, -40 e Podestà, si potè avanzare verso la zona centrale della
Minie-ra, constatare principio di incendio al livello -125, vasta zona
incendiata ed in parte franata al -75, alta temperatura e fumo intenso al -40 in
corrispondenza dei gradini e fornelli Torta, Salaris, Marceddu.
Con due chiusure ermetiche a levante e a ponente si limitò l'incendio al -125,
precludendo la maggior corrente d'aria alimentatrice; al -75 e al -40 fu solo
pos-sibile stabilire chiusure identiche in prossimità e a levante della zona
incendia-ta, per sopprimere poi il tiraggio dalla parte ponente di questi
livelli, parte assolutamente inaccessibile, abbattuta la chiusura del livello
Rietto (ultimo li-vello che sbocca a giorno), si procedette alla successiva
ermetica chiusura fino all'estremo ponente di tutti i fornelli comunicanti con i
livelli sottostanti. Fu que-sto il lavoro che richiese maggiori fatiche e
cautele; con ordinata organizzazio-ne di squadre e rapidi cambi, tutti i
fornelli vennero chiusi procedendo da levante verso ponente, senza gravi
inconvenienti e solo si ebbe a lamentare nel persona-le qualche leggero
svenimento e qualche principio di asfissia.
La zona pericolosa era in tal modo delimitata e isolata.
Nei giorni seguenti ci limitammo a sorvegliare ed a rinforzare le chiusure, non
essendo in alcun modo possibile, data l'estensione della zona incendiata e la
po-ca acqua disponibile, nonché il pericolo gravissimo costituito dall'acido
carbo-nico, di tentare lo spegnimento.
Il giorno 8 si tentò l'esplorazione dei livelli: a Rietto, aperto qualche
fornello, si constatò l'assenza di gas infiammabili; al livello -40 si potè
avanzare sin sopra la zona incendiata; al -75 e al -125 si trovò ancora fuoco ed
ambienti pericolosi causa frane ed irrespirabili.
Si ripristinarono le chiusure a questi ultimi livelli e nei giorni successivi si
pote-rono chiudere tutti i fornelli che dal livello -40 conducono ai livelli
inferiori, li-mitando in tal modo, maggiormente, la zona pericolosa e rendendo
liberi i livelli
Podestà, Mare, Rietto e tutti i livelli superiori.
Solo il 1 ° marzo, dopo opportune esplorazioni, si aprì e si percorse tutto il
livel-lo -40, iniziando tosto riparazioni urgentissime.
Il giorno 2 si aprì il livello -75 e, dopo aver lasciato sfogare la grande
quantità di anidride carbonica ivi raccolta, si avanzò sino alla gran frana
provocata dal fuoco e, malgrado la temperatura elevata, si diede subito mano
alle riparazioni.
Il giorno 6 fu possibile accedere al -125 ed incominciare ad armare. I lavori di
riparazione vennero fatti in seguito più celermente da due parti, quando fu
pra-ticabile la zona a ponente di quella incendiata.
I livelli -40 e -125 poterono essere aperti al transito in poco più di una
settimana, il livello -75 (la sola galleria di carreggio) richiese il lavoro
ininterrotto di una trentina di operai per circa un mese ed il transito non potè
essere ripristinato che a fine marzo.
Si rinunciò, per ora, a riparare i traverso banco ed i fornelli.
I danni, purtroppo, furono ingenti: oltre al livello -75, completamente franato
per oltre 70 metri di lunghezza, si ebbero 2 traverso banco di 30 metri ciascuno
e due fornelli, uno di 70 e l'altro di 50 metri, intieramente distrutti, un
gradino franato, numerosissimi quadri bruciati o danneggiati, il motorino di una
perfo-ratrice reso inservibile; occorre ancora aggiungere i danni derivanti
dalla sospen-sione del lavoro utile di coltivazione e la conseguente diminuzione
di produzione, solo in parte compensata dall'esaurimento della riserva di
toutvenant (grezzo) che esisteva sui piazzali.
Stante lo stato di franamento della zona incendiata, non si potè stabilire il
pun-to di partenza del fuoco; pare probabile siasi sviluppato al livello -75 nel
giorno di domenica 1° febbraio, dopo l'uscita dell'ultima sciolta (turno).
Circa le cause, non siamo in grado che di fare ipotesi: esclusa la possibilità
di contatti elettrici, perché fin dalla mezzanotte del 31 gennaio in galleria
non cir-colava corrente, esclusa una causa spontanea qualsiasi, perché in
miniera non esistono ne gas infiammabili, ne sostanze in decomposizione tali da
poter origi-nare un incendio, non ci resta da pensare che al dolo o
all'inavvertenza di qual-che operaio nell'appendere la lampada con la fiamma
rivolta verso qualche parete rivestita di legname vecchio ed asciutto. Ben
inteso, su questo punto non si sa-prà mai nulla di certo.
Con tutta osservanza Ing. O. Garzena».
Dal mese di luglio, a causa della guerra, vennero sospese le spedizioni
all'estero del minerale che restò in deposito nei piazzali della laveria (5000
tonnellate di blenda) e nei magazzini (300 tonnellate di galena con il 2o di
Argento).
I lavori vennero tenuti aperti per evitare che il personale più capace
emigrasse. Ven-ne incrementata la ricerca nella regione Piata riattivando e
anche scavando ex novo alcu-ni livelli dal Pozzo Alda.
I lavori nella galleria Rietto, che si ritenevano esauriti, ripresero e la
galleria stessa venne spinta sino a 300 metri dal mare dove vennero aperti
alcuni cantieri con piccole coltivazioni.
È interessante notare come tutti gli antichi cantieri al di sopra della galleria
Rietto fornissero ancora produzioni non trascurabili nella generale economia
della miniera.
I grossi lavori erano però compresi tra il livello -75 e il livello -40. Infatti
tra le pro-gressive di metri 300-380 ad ovest del Pozzo Podestà era aperto il
gradino denominato
MARCEDDU. Quivi il filone, su una potenza complessiva di 35 metri, si presentava
mine-ralizzato per una potenza media complessiva di circa 10 metri su cui la
coltivazione era fatta con sistemi diversi, ma sempre con ripiena.
Il gradino MARCEDDU ubicato nel pannello compreso tra il -75 e il -40, era quasi
esaurito perché ormai si trovava a soli 8 metri dal piede dello stesso -40.
Inoltre più ad ovest si trovava in esaurimento il gradino CHERCHI che aveva dato
una elevata produzione dal 1901 al 1913. Si svilupparono anche i lavori al -125
e vennero intestati pozzetti interni per raggiungere il -175.
Nel 1915 a causa della sospensione delle spedizioni si trovavano giacenti in
piazzale circa 15000 tonnellate di blenda. Le ricerche ripresero intensamente
nel cantiere Piata con l'approfondimento del Pozzo Alda e lo scavo di una
galleria verso Pozzo Podestà con l'intento di comunicare con il livello -5
scavato a suo tempo dal Pozzo Podestà verso la zona Piata e che fu sospeso alla
progressiva di circa 500 metri perché non aveva riscon-trato mineralizzazione
utile.
Al fine del congiungimento dei Pozzi Podestà e Piata, il livello -5 venne
riattato con grosse difficoltà dovute alle notevoli spinte che nel tempo ne
avevano fatto crollare ampi tratti.
Il pozzo Podestà raggiunse la profondità di 163 metri (circa 8 metri sotto il
livello -125 ovvero sotto il livello 155 se considerato come progressiva dalla
quota di intesto del pozzo stesso).
La crisi della mano d'opera in periodo di guerra era particolarmente sentita
all'Ar-gentiera, lontana dai centri abitati e dai più importanti centri minerari
dell'Isola. Da circa 400 operai che si avevano nel 1914 si era passati a meno di
200, ma il problema più grande era legato al fatto che i minatori si erano
ridotti da 150 a 59.
Per fortuna si riuscì a vendere e a spedire tutto il materiale prodotto in
precedenza e giacente nei piazzali della laveria. Nel novembre 1916 risultavano
spedite oltre 9000 tonnellate di blenda negli Stati Uniti, 1900 tonnellate di
blenda in Gran Bretagna e si era in attesa del piroscafo per il carico di altre
2500 tonnellate di blenda già vendute in Olanda.
La fine del secondo decennio del '900 vide un riavvio delle attività della
miniera an-che se permanevano alcuni problemi legati all'approvvigionamento di
combustibili e ma-teriali vari che impedivano la continuità del lavoro. Anche la
laveria, dove lavoravano 40 operai di cui 21 donne, aveva lunghi periodi di
fermata.
I lavori minerari ripresero con buona lena anche nel cantiere Piata dove, tra
l'altro, una galleria intercettò vecchi lavori romani all'interno dei quali si
ritrovarono diversi vasi di buona fattura (rapporto ing. Testa 31.05.1918).
Un altro aspetto a cui si rivolse l'attenzione dei tecnici del periodo fu quello
di trovare soluzioni ai problemi che il carico a mare dei minerali comportava.
Infatti, a causa dell'esposizione a maestrale della Cala di San Nicola, il
carico stesso non era mai stato effettuato in assoluta tranquillità. La ricerca
di soluzioni non era legata solamente ad un fattore di sicurezza, ma soprattutto
alla ottimizzazione delle operazioni che consen-tissero un risparmio sui costi
di imbarco.
Le soluzioni non potevano essere semplici anche in considerazione del fatto che
la violenza del mare, all'Argentiera, non avrebbe consentito che piccole
strutture portuali avessero carattere duraturo.
Anni '20
I primi anni '20 videro un'ulteriore riduzione della mano d'opera e un
rallentamento delle produzioni a causa delle pessime condizioni del mercato dei
metalli e degli aumenti nei costi della mano d'opera e dei materiali.
Il numero degli operai alla fine del 1921 era ridotto a 150 rispetto ai 220
presenti l'anno precedente.
Nonostante le perdite denunciate dalla Società non si arrivò alla chiusura
completa.
Infatti, considerate le speciali condizioni della miniera, in una eventuale
ripresa il reclutamento sarebbe stato più difficile che altrove non tanto per il
numero, quanto per la qualità degli operai.
La laveria, che era rimasta ferma per lunghi periodi, riprese la marcia con una
qua-rantina di operai di cui alcuni giovanissimi e pochissime donne.
All'interno si lavorava a ranghi ridottissimi con il massimo risparmio.
Dei 100 operai addetti all'interno solo una sessantina lavoravano
all'abbattimento.
L'unica macchina perforatrice lasciata in funzione in miniera, lavorava in un
gradino di coltivazione.
Il resto degli operai era utilizzato all'esterno e soprattutto in vicinanza
della Cala nella costruzione di silos e celle affiancate di un nuovo impianto
che avrebbe semplifica-to e reso più economico il carico del minerale sulle
barche.
Anche questo decennio, nonostante il numero ridotto di addetti ai lavori, ebbe
inizio con alcuni incidenti mortali: «Agli inizi degli anni venti perse la vita
il carrettiere della miniera, che, sbalzato da cavallo improvvisamente
imbizzarritesi, aveva battuto violen-temente la testa» (S. Ruiu «L'Argentiera»,
1996, pag. 268). • II giorno 7 Novembre 1921 l'operaio PERAZZONI Giuseppe di
Antonio di anni 18 da
Florinas, addetto alle pompe per il sollevamento delle acque della minerà,
chiedeva al sorvegliante MASSETTI Francesco fu Simone di anni 51 da Mamoiada, di
prolungare la marcia delle pompe stesse.
Il MASSETTI trattenne in servizio anche l'operaio ZARA Giovanni fu Giuseppe di
anni
46 di Florinas, addetto alle manovre dell'argano di estrazione e alla
sorveglianza della centrale che fornisce l'energia elettrica alle pompe.
Quest'ultimo, dopo un'ora, non udì marciare la pompa che il PERAZZONI avrebbe
do-vuto azionare e avvertì l'altro sorvegliante TOSI FRANCESCO fu Luigi di anni
39 da
Monte Fiorino, il quale discese in miniera e trovò il PERAZZONI ormai cadavere,
ste-so sui boccaporti del pozzo al livello più basso -163.
Il poveretto era caduto dentro il pozzo precipitando dal livello -105 al fondo
del pozzo
(-163).
Percorrendo la galleria di livello per un tratto di 66 metri si arriva al POZZO
che presenta i due scomparti delle 2 gabbie.
G e G' rappresentano gli scomparti delle gabbie (in G trovavasi la gabbia, G' si
pre-sentava libero e in esso precipitò il poveretto).
La sezione A-B rappresenta la posizione di una catena che viene agganciata ai
due lati della galleria per segnalare il pericolo del transito.
Si tentò di spiegare l'infortunio con l'ipotesi che al PERAZZONI si sia spenta
la lam-pada e che andando a tentoni per raggiungere la gabbia in G (che lo
attendeva) si sia spo-stato troppo sulla sua destra imboccando il vano vuoto e
precipitando nel livello -163 di 58 metri più basso.
Negli anni successivi si procedeva verso una ripresa
dei livelli produttivi anteguerra, ma il numero degli addetti all'interno era
esiguo e la vecchia laveria non avrebbe potuto far fronte ad importanti aumenti
di produzione nonostante l'installazione di 2 tavole Ferraris (apparecchiature
messe a punto dall'Ing. Erminio Ferraris direttore della Monteponi, che
servivano per facilitare la separazione del minerale dal materiale sterile).
Veniva intanto ultimato l'impianto dei silos per il carico dei vagoni, che
avrebbe con-sentito un carico più rapido del materiale commerciabile da spedire
via mare.
Con la nuova sistemazione, in una giornata, si potevano scaricare sulle barche e
quindi a bordo dei piroscafi 1400 tonnellate di minerale con soli 9 uomini
addetti ai vagoni e ai silos. Per quanto riguardava la miniera, si procedeva
nell'approfondimento del Pozzo Podestà per coltivare le mineralizzazioni più
profonde.
Le parti antiche della miniera (zona Rietto e Calabronis) fornivano ancora una
buo-na produzione di minerale e di materiale recuperato dalle vecchie ripiene.
Il lavoro che veniva effettuato in questa zona era sempre particolarmente
rischioso per i minatori.
Ma il pericolo era sempre presente anche in tutte le altre fasi di lavorazione:
• il 17 luglio 1925 il minatore SALARIS Giovanni fu
Giuseppe Antonio lavorava all'approfondimento del Pozzo Podestà dove
regolarmente veniva calata una cassa carica di materiale (quattro blocchi di
calcestruzzo del peso di 17 kg. ciascuno). Durante una di queste manovre il
cavo, probabilmente a causa della continua piegatura sul trave, si spezzò e la
cassetta con il suo carico cadde addosso al Salaris uccidendolo.
La coltivazione della miniera proseguì regolarmente
fino al 1927, ottenendo in quell'anno una produzione di tonn. 7938 di blenda al
40 di Zinco, tonn. ^ f y 660 di galena al 55 di Piombo e gr. 1000 di Argento per
tonnellata.
Nel 1928 la produzione cominciò a diminuire, anche per il fatto che la miniera
era ancora dotata della vecchia laveria gravimetrica, poco adatta per
recuperare la galena, buona parte della quale rimaneva mescolata alla blenda e
quindi perduta.
L'attività della miniera continuò con l'approfondimento del P. Podestà e si
sviluppò essenzialmente livello -175
Vennero eseguite manutenzioni ai livelli -125
In quest'ultimo livello (Calabronis) continuavano i lavori di ricerca sulle zone
mineralizzate in blenda lasciate in posto dagli antichi coltivatori.
Gli incidenti purtroppo proseguirono:
• II giorno 26 Maggio 1928 in un gradino di coltiva- ni
Salaris (17.07.1925). zione sito tra il livello -125 e il livello -75 i minatori
MAMUSI Salvatore fu Giov. Antonio e fu Marras Antonia di anni 44 da Bonorva,
DERIU Pasquale fu Giov. Maria e fu Murgia Andreana, da Bonorva, capo sciolta,
ANGIONI Rafaele di Paolo e fu Crisponi Maria di anni 35, da Mamoiada, dopo aver
eseguito la perforazione e aver fatto esplodere le mine, erano intenti al lavoro
di disgaggio.
Verso le ore 5,30 il capo sciolta Deriu Pasquale servendosi di leva (palanchino)
era impegnato nel disgaggio di un blocco rimasto incastrato sulla parete del
cantiere vicino alla fronte, quando si verificò all'improvviso il distacco del
blocco stesso che, abbat-tendosi al suolo, trascinò il palanchino sfuggito di
mano al Deriu sbattendoglielo con-tro il femore destro e procurandogli la
rottura dell'arto.
Alla fine degli anni '20, la concessione della Miniera dell'Argentiera veniva
confer-mata in perpetuo alla Società Correboi con decreto del Ministero delle
Corporazioni Di-rezione Generale Industria e Miniere, in data 27 Luglio 1929.
Anni '30
Con il 1930 finiva all'Argentiera la dirczione da parte dell'Ing. Sgarbi che,
nel luglio dello stesso anno, veniva sostituito dall'Ing. Sebastiano Ferrerò.
La società esercente, al fine di ottenere un più alto rendimento in metallo, ed
una migliore separazione della galena dalla blenda, costruì negli anni 1929 e
1930, una mo-derna laveria con flottazione (9) che però non entrò in funzione.
Da un rapporto del tempo si riporta testualmente:
«All'esterno dopo aver portato a compimento la laveria per flottazione sono
stati iniziati esperimenti di laboratorio intesi a sostituire il cianuro di
potassio tra i reagenti della flottazione stessa».
All'Argentiera non sono mai esistiti bacini di contenimento fanghi.
Lo scarico dei fanghi della laveria, qualunque fossero i prodotti chimici
utilizzati co-me reagenti, andava direttamente in mare dopo un brevissimo
percorso di circa 100 metri.
Per quanto riguarda il mancato funzionamento della laveria è da rimarcare che
già dal 16 giugno 1930 la Società «Correboi», a causa della crisi del mercato
dello zinco chie-deva al Ministero competente di essere autorizzato a sospendere
i lavori di coltivazione della miniera.
Con decreto in data 27.2.1931 firmato dal Ministro Bottai, veniva concessa
l'autoriz-zazione alla sospensione dei lavori sino al 27.2.1933, autorizzazione
rinnovata sino al 27.2.1935 con Decr. Ministeriale 18.3.1933.
Nel periodo restarono occupati per 18 giorni al mese 28 operai fra armatori
fabbri e guardie.
Nel '32, alla morte dell'Ing. Ferrerò, veniva dato l'incarico della Dirczione
della Mi-niera al P.M. Emanuele Schiffini di Iglesias che alla fine del 1935
venne sostituito dal-1 Ing. Calogero Venezia di Sciacca.
Nel '36, con la ripresa dei lavori minerari, la nuova laveria cominciò a
marciare
Nella seconda metà degli anni '30 si lavorava all'approfondimento del pozzo
Podestà e alla ripresa di alcune coltivazioni nelle porzioni alte del
giacimento. Con la ripresa dei lavori, purtroppo, vi furono alcuni gravi
infortuni: • II giorno 18 maggio 1938 gli operai Uldanch Angelo di Giuseppe
(Capo Compagnia) Lom-bardi Vincenzo di Pasquale e Pisano Antonio fu Salvatore,
nato ad Iglesias, lavoravano all'approfondimento del Pozzo Podestà.
Il transito degli operai che lavorano nell'approfondimento del Pozzo avviene per
un sistema di scale munite di regolari palchetti, le quali vanno ad imboccare al
livello -175
Alle ore 11 il Pisano risalì attraverso le scale dal fondo del pozzo (-183 s.l.m.)
al livello
-175 dove avvenne un infortunio che, solo per caso, non fu mortale.
Il Pisano, una volta risalita la scala che dal -183 conduce al -175, anziché
percorrere come prescritto, la galleria di giro G, passò attraverso la canna del
Pozzo passando sul palchetto interno. In quel momento giunse la gabbia che colpì
alla schiena il Pisa-no procurandogli la frattura della 123 vertebra dorsale e
distorsione del piede sinistro.
L'incidente non ebbe conseguenze più gravi grazie al tempestivo intervento dei
com-pagni di lavoro.
• II 21.7.1938 un infortunio mortale avvenne in uno
scavo a giorno nella zona di Calabro-nis alla quota +90 circa.
Alle ore 10,30 il manovale ULERI Antonio Giovanni di Giuseppe di anni 32
lavorava alla base di detto scavo dove procedeva al carico su vagoncino del
materiale abbattu-to, per scaricarlo nel vicino fornello di getto della ripiena
che comunicava con il livel-lo +70.
Dal ciglio dello scavo si staccò, per cause imprecisate, un quantitativo di
circa due me-tri cubi di materiale che investirono l'Uleri schiacciandolo contro
il carrello.
Alle grida dell'infortunato accorsero gli operai Mercurio Giuseppe di Salvatore
di an-ni 35 da Mamoiada e Secchi Nicolo di Vittorio di anni 24 da Ossi che
provvidero a far-lo trasportare all'Ospedale di Sassari dove, a seguito delle
gravi ferite riportate, decedeva l'indomani alle ore 7.
Anni '40
L'inizio degli anni '40 vedeva una produzione giornaliera di grezzo pari a circa
175 tonnellate ad un tenore medio del 10,5 in Blenda e dell'1,6 in Galena.
Tutto il materiale prodotto veniva trattato nel nuovo impianto di arricchimento.
Negli anni '40 si fecero alcune interessanti relazioni tecniche relativamente
allo sta-to delle ricerche e alle speranze in esse riposte per la vita della
miniera.
Una nota del Distretto Minerario di Iglesias riporta:
«Occorre subito dire che mentre la parte di ponente è stata sinora quella che
dagli inizi lontani della miniera ha fornito la quasi totalità del minerale
estrat-to, la parte di levante, nelle ricerche e lavori sinora compiuti, salvo
qualche ec-cezione, ha dato risultati pressoché negativi. Ivi il filone,
disturbato da dislocazioni e fratture, sembra quasi sempre sterile. In questi
ultimi anni è stato riaperto in regione «La Piata» (estremità sud della parte di
Levante) il pozzo «ALDA». Intor-no sono stati compiuti numerosi lavori di
ricerca, ma con scarsi risultati.
E da augurarsi che le cose combino perché dall'esito delle ricerche nella parte
di levante dipende la vita della miniera.
Scesi per il Pozzo Podestà al livello -220 sono stati esaminati i lavori verso
po-nente per la ricerca del filone che in questo livello più basso risulta meno
ricco; la blenda è scarsa, accompagnata da siderite; la zona è disturbata da
faglie e si hanno venute d'acqua per circa 80 metri cubi al giorno».
Si tratta dei primi inequivocabili segnali di preoccupazione per il futuro della
minie-ra reso ancora più incerto a causa dell'inizio del secondo conflitto
mondiale.
Tuttavia la miniera proseguiva nella attività estrattiva: la produzione mensile
era di circa 850 tonnellate di minerali di zinco e di piombo che venivano
trasportati a Portotor-res per essere imbarcati su piroscafi diretti nel
Continente.
Le difficoltà per i trasporti del minerale emergono da una nota in data
24.2.1942 in-dirizzata dalla Società Correboi al Distretto Minerario di Iglesias
per la richiesta di au-mento della assegnazione di gasolio per il trasporto dei
minerali:
«II trasporto dei minerali suddetti dalla nostra Miniera a Portotorres avviene
durante la stagione estiva, in parte per via marittima mediante barche a vela e
motobarche, ed in parte per via ordinaria su autocarri.
Poiché il trasporto via mare è reso impossibile durante la stagione invernale a
causa dello stato del mare, della brevità delle giornate e delle restrizioni
alla na-vigazione costiera dipendenti dallo stato di guerra, ne consegue che
tutta la no-stra produzione deve essere trasportata, nei mesi invernali,
unicamente per via ordinaria».
La pericolosità della navigazione costiera nel periodo fu tragicamente
documentata il 16 settembre 1942, quando avvenne l'insensato episodio che portò
alla morte dei fra-telli BALZANO che commosse tutta la popolazione
dell'Argentiera.
Ai problemi della guerra si sovrapponevano i problemi della miniera che, ancora
una volta, verso le ore 12 del giorno 14.12.1942, si manifestavano con un
infortunio mortale. • L'incidente avvenne nel gradino di coltivazione detto
«Gradino 3 Levante» compreso tra il livello -175 e il livello -125 in un punto
distante una quarantina di metri in linea d'aria dal Pozzo Podestà.
Il gradino era quasi completamente coltivato, trovandosi ad appena 8 metri sotto
il livello superiore -125.
L'infortunio fu dovuto a distacco di roccia dal tetto del cantiere presso il
fronte di avanzamento diretto verso ponente.
Può facilmente comprendersi l'entità del crollo che interessò un tratto di circa
10 metri di lunghezza, per tutta la larghezza del sotterraneo (3-3.5 metri) e
per una altezza variabile di 1-1.5 metri.
Vittima dell'infortunio fu il perforatore LOI Antonio di Antioco di anni 27, da
Ula Tirso, che si trovava alla fronte del cantiere.
Ad una quarantina di metri di distanza operavano altri due operai:
Ventura Salvatore, di anni 41 da Fluminimaggiore, che provvedeva alla stesura
del materiale di ripiena e Demontis Antonio di Francesco, di anni 20 da Mores,
che provve-deva allo sgombero del minerale abbattuto nel turno precedente
riversandolo nell'appo-sito fornello di getto. Del grave incidente si rese conto
il capo compagnia Congiu Vincenzo, di anni 38, da Ma-moiada, che, non udendo più
il rumore del martello perforatore, si recò alla fronte per verificare cosa
fosse successo. Il CONGIU trovava la via sbarrata dalla grossa frana che però
riuscì, con grosso rischio, a superare, rendendosi conto che il povero
perforatore LOI non si trovava nel tratto di galleria non interessato dalla
frana. Solo verso le 6 del mattino del giorno successivo si riuscì a recuperare
il corpo del giova-ne LOI.
In ogni caso si guardava al futuro con la grande speranza che la miniera
riprendesse la normale attività.
Infatti l'Argentiera era stata, sino a quel momento, una delle miniere più
produttive dell'Isola; dal 1878 al 1941, benché nel periodo dal 1929 al 1935 non
vi fosse stata produ-zione alcuna, diede 328.000 tonnellate di blenda e circa
35.000 tonnellate di galena conte-nente buone percentuali di argento.
Dal 1927 usufruiva dell'energia elettrica della rete della Società Elettrica
Sarda e dal 1930 poteva contare su una nuova laveria a flottazione, in
sostituzione della vecchia idrogravimetrica, che però, per chiusura della
miniera dal '29 al '35, cominciò a marcia-re solo nel 1936.
In una nota del '42 del Distretto Minerario si riproponevano però alcune
preoccupa-zioni circa il futuro della miniera: —Le riserve accertate ammontavano
a circa 120.000 tonnellate e poiché la capacità pro-duttiva della miniera era di
30.000 tonnellate / anno, si intravedeva un periodo di vita di soli quattro
anni. —La ricerca condotta con il livello -5, che aveva attraversato tutta la
zona compresa tra
Pozzo Podestà e Pozzo Alda, aveva dato esito negativo. — Si auspicava che i
livelli profondi della miniera, già spinti dal Pozzo Podestà verso nord-est per
oltre 200 metri e che avevano dato esito negativo, venissero spinti sino
all'e-stremo nord-est sotto il Pozzo Alda nella speranza di nuovi ritrovamenti
di minerale. — Buona parte della produzione proveniva ancora dai livelli alti
coltivati dagli antichi sia asportandone i residui blendosi lasciati in posto,
sia riaprendo le vecchie coltiva-zioni, spesso in frana, sia recuperando i
materiali che gli stessi antichi avevano utiliz-zato come materiale di ripiena
per sostegno nei vuoti di coltivazione. L'ammoderna-mento degli impianti,
infatti, consentiva un certo recupero di minerale dai materiali di ripiena non
ottenibile in precedenza. —Considerato il limitato sviluppo del livello -220 non
si erano perse le speranze di un cambiamento in meglio con il procedere dei
lavori, tuttavia la situazione confermava il graduale impoverimento del
giacimento in profondità per riduzione in spessore ed estensione. — Se quindi
non fossero intervenuti fatti nuovi con il rinvenimento di qualche zona con
abbondante mineralizzazione, seppure senza le ricchezze di un tempo, l'avvenire
della miniera sarebbe stato piuttosto scuro.
Infatti, erano pressoché esaurite la parte alta del giacimento e la parte
centrale sot-tostante per cui la miniera si sosteneva con appendici sparse sia
in profondità sia qua e là in alcune delle zone in cui il filone era stato
coltivato in passato. Per alimentare 1 pianto, venivano trattati anche notevoli
quantitativi di ghiaino, costituito da vecchia scariche, prelevato in prossimità
della spiaggia.
Il contenuto in metallo del ghiaino era di 0,6-0,7 in piombo e 3,5 in zincc
Di contro, per fortuna, la miniera era poco acquifera e la quantità di acqua ed<
(pompata all'esterno) si manteneva intorno agli 80 metri cubi al giorno.
Nei primi anni '40 la meccanizzazione all'interno non era particolarmente sviku
ta, tuttavia era stata finalmente superata la perforazione a mazzetta e veniva
effetti la perforazione meccanica con 20 martelli BBR-13, 6 DCRW-23 e 4 CC-2; la
rete delle bazioni aveva uno sviluppo di circa 3 Km e l'aria compressa era
fornita da due comp sori della potenza complessiva di 200 CV.
Non si avevano trasporti meccanizzati salvo che per il sollevamento delle gabbie
pozzi.
Nei tratti dall'imbocco del Pozzo Podestà alla sommità della laveria e dalla ste
laveria alla discarica venivano usati i trenini con traino a cavallo. Per il
resto, sia a; sterno che all'interno i vagoncini venivano spinti e manovrati
dall'uomo.
Il mercantile si inviava preferibilmente su autocarri o con barche a Portotorres
era più garantito il carico sui piroscafi. Inoltre anche per i carichi da
effettuarsi dire mente nella rada, una serie di accorgimenti attuati sulla
piccola banchina consentivi operazioni molto più veloci che in precedenza.
Nel 1943 la zona dei vecchi lavori continuava a fornire materiale utile mentre a
vello -175, esteso per oltre 800 metri, non si erano ottenuti risultati
apprezzabili.
Era evidente che la Miniera avrebbe avuto ancora pochi anni di vita se le ricen
e le coltivazioni si fossero limitate ai tratti sinora messi in vista.
Il rinnovo della miniera e le speranze di continuità erano legate: —alle
ricerche nella zona Piata verso Nord nord-est dove era in progetto l'approfor
mento del Pozzo Alda che toccava la quota -40 s.l.m.; —alle ricerche mediante il
livello -75 che avrebbe unito il Pozzo Podestà con il Pozzo da verificando la
consistenza del giacimento in una zona estesa 500 metri che, già dagata con il
livello -5, era risultata sterile a quella quota; —alle ricerche da effettuarsi
nella zona del Pozzo Podestà al di sotto del livello -2:
Nell'agosto del 1943 a causa degli eventi bellici, le coltivazioni vennero
interrol ma non vennero fermati i lavori di ricerca e di manutenzione delle
gallerie.
In particolare dal momento della fermata di cui sopra al 31 maggio 1945 l'avan
mento al liv. -175 aveva progredito di 255 metri.
Fine secondo conflitto mondiale
Sulla situazione dell'Argentiera alla fine del secondo conflitto mondiale, è
molto i portante dal punto di vista geo-giacimentologico e minerario una
relazione del giugno 1945 relativa ad uno studio di dettaglio sul filone
dell'Argentiera in connessione ai successivi programmi di lavoro e di ricerca.
La relazione del giugno 1945 predisposta per la Dirczione Generale della Correb
studia le possibilità che ancora poteva offrire il filone Argentiera.
La scarsità di minerale alla vista, in rapporto all'enorme sviluppo dei
tracciarne] che richiedevano una costosissima manutenzione, aveva messo da tempo
la miniera condizioni economicamente svantaggiose. L'esito negativo di alcune
ricerche in profondità aveva aggravato ancora di più la situazione.
Per affrontare il futuro occorreva prendere decisioni di notevole importanza,
sia p ridurre le spese di manutenzione, sia nei riguardi dell'indirizzo da dare
alle ri'cerch
Le considerazioni che seguono sono tratte prevalentemente da quella interessante
nota.
La miniera era stata studiata con cura ed attenzione sia sul posto, ove era
possibile, sia esaminando le vecchie relazioni sui lavori. Ciò consentì di fare
il punto sulla situazione del giacimento e sul futuro della miniera stessa.
Alla nota tecnica era allegato lo schema del filone Argentiera come si
presentava in planimetria.
Veniva confermato come il filone fosse caratterizzato in modo inconfondibile
dallo strato di argilla ben noto e che accompagnava la grande frattura filoniana
in tutta la sua estensione sia in profondità, sia in direzione.
Si riteneva che la zona di «Mezzeria», la più ricca della miniera, fosse dovuta
ad un disturbo (faglia) che portava ad un raddoppio dell'argilla, il che avrebbe
spiegato l'esi-stenza di due vene parallele, ciascuna con argilla propria, e
delle numerose vene secon-darie Nord-Sud che collegavano le due argille.
La faglia di mezzeria spiegava anche l'interruzione del filone fra Pozzo Podestà
e la zona Piata.
Veniva rilevato inoltre come l'argilla mantenesse inalterate le caratteristiche
dall'e-stremo sud ovest all'estremo nord est lasciando supporre che la frattura
principale non si esaurisse nella zona Piata, ma che fosse stata solo interrotta
da un'altra faglia e che il filone continuasse ancora verso nord est.
Era stata studiata a fondo la relazione di giacitura fra la mineralizzazione e
l'argilla ed era emerso che la mineralizzazione si presentava in due modi
distinti: quella a imme-diato contatto con l'argilla, più spessa sopra questa,
meno spessa sotto.
La mineralizzazione si trovava anche, abbastanza spesso, in fratture secondarie.
Mentre l'argilla si sviluppava ininterrottamente dall'affioramento ai livelli
più pro-fondi tracciati sino ad allora, lo stesso non poteva dirsi per la
mineralizzazione che non era così continua e si ritrovava solo in determinate
zone.
E' interessante la ricostruzione nelle sue grandi linee dell'andamento e della
disposi-zione delle zone mineralizzate.
Per facilitare la presentazione e la lettura dei dati si era proceduto alla
suddivisione del hlone nel seguente modo: - Tutto lo sviluppo del filone
conosciuto, oltre 1700 metri in sezione, venne diviso in tratti di 20 metri
ciascuno con origine nel Pozzo Podestà (punto zero); -1 singoli tratti di 20
metri a partire da Pozzo Podestà verso il mare (a Ponente) vennero indicati con
1P, 2P, ecc. sino al 41P; - i singoli tratti di 20 metri a partire da Pozzo
Podestà verso Pozzo Alda in regione Piata
(a Levante) vennero indicati con IL, 2L, ecc. sino all'estremo nord est (45L)
Partendo dall'estremo ponente si aveva un tratto di filone, compreso tra il 41P
e il 31P. ( ovvero per una lunghezza di 200 metri - tra le progressive di 820
metri e 620 metri ~ a sudovest dl pozzo podestà)in cui la mineralizzazione
affiorava all'esterno a quote variabili fra +120 e +150. Le coltivazioni si
arrestarono al livello Zero circa.
Ricerche fatte in tempi successivi in profondità, nella
cosiddetta zona di protezione a mare, diedero esito negativo.
Nel tratto di filone tra il 41P. e il 31P. la parte coltivabile era limitata tra
l'affioramen-to (+130) e la quota Zero. Al di sotto della quota zero il filone
si riduceva ad un incassa-' mento quarzoso con tracce di pirite, siderite e
blenda.
Fra il 31P. e il 26P. il filone non era coltivabile in affioramento (+100). La
parte colti-vabile era compresa tra le quote +50 e -135 (185 metri di altezza).
Al sottostante livello -175 esisteva ancora il filone ben delineato a contatto
dell'argil-la incassato nel quarzo e con buone tracce di minerale, tuttavia un
tentativo di coltiva-zione venne sospeso perché non economico.
Fra il 26P. e il 19P. la parte coltivabile era compresa tra l'affioramento (+100
i e il livello -125 (225 metri di altezza).
Fra il 19P. e il 10P. (zona di Mezzeria), almeno 4 vene erano coltivate
dall'affioramen-to (+70 circa) fino al livello -125 (195 metri di altezza).
Dal 10P allo zero non si aveva traccia di mineralizzazione all'esterno (quote
+50 - +30). Il filone cominciava a delinearsi a quota -50 circa, era abbastanza
ricco al livello -75, diminuiva m ricchezza dal -75 al -175. La mineralizzazione
nel tratto suddetto era piuttosto povera. Al livello -220 veniva trovata una
ricchissima vena nel tratto 3P 5P coltivata verso l'alto tra il -220 e il -200
dove però si chiudeva. Al momento questa Piccia vena doveva essere esplorata in
profondità, piccola
Dallo Zero al 9L. si aveva la cosidetta «grande campana» per la forma che la
minerà izzazione aveva assunto procedendo verso il basso. Anche in tale zona
(detta cULevan e)
1 affioramento era assolutamente sterile. Levante) oh." Tr."6 sl delineava quota
-15 circa' alla q"°ta -75 si manteneva ristretto in lun-ghezza (50 metri), fra
il -75 e il -175 raggiungeva il massimo di ricchezza e di estensione come
ipotizzato e auspicato da] Taricco mentre si riduceva notevolmente al
livello -220.
Il tratto di filone dal 9L aql 25L (zona plata)
già investigato con il liv- -5 era risultato completamente sterile. Dal 25L al
45L su un tratto quindi' di 400 metri e una Profondità di 80 metri,
dal +45 al -35 era steta rlconosciuta l'argilla, ma la mineralizzazione era
interessante solo nel tratto 34L-38L. I lavori antichi erano stati chiusi a
circa 20 metri sotto l'affiora mento, nei pressi del Pozzo Alda (36L).
L'esistenza di due vene mineralizzate rendeva interessante la ricerca alla Piata
ma una vena' detta <<vena di letto>> si era chiusa al livello -5, l'altra era
scarsa al livello +5 mentre si faceva più interessante al livello -35 nel tratto
31-34L senza offrire però possi-bilità di coltivazione.
Questa importante e chiara sintesi consentiva di tracciare un quadro completo
rela-tivamente al tipo di ricerca da effettuare per poter prolungare la vita
della miniera. Zona Podestà
Venivano prese in esame tré possibilità: a) Tracciamento del livello -220 verso
ponente:
Considerato l'esito negativo del tracciamento del livello superiore -175, si
sconsigliava il trace, del -220 verso ovest per considerazioni di natura
geo-giacimentologica e per gli alti costi che si sarebbero dovuti sostenere.
Infatti, pur potendo sperare in qualche piccolo ritrovamento, per permettere il
trac-ciamento del -220 si sarebbe dovuto tenere aperto il sovrastante livello
-175 e tutto il circuito di ventilazione di Ponente che avrebbe comportato un
onere finanziario notevole valutato intorno a 1/3 della spesa totale di
manutenzione della miniera. b) SCAVO DEL NUOVO POZZO (POZZO UMBERTO) dal-220 al
-250 e tracciamento della zona mineralizzata 6P-6L per un totale di circa 250
metri
Con tale lavoro si sarebbero esplorati i lembi più profondi della miniera e)
bendaggi sul filone nelle zone riconosciute povere ai vari livelli. Zona
compresa fra Pow Podestà e Pow Alda -Completamento del livello -75 che però
sembrava confermare i risultati negativi otte-nuti con lo scavo del soprastante
livello -5. Zona Piata -Veniva scartata l'ipotesi di continuare la ricerca al
livello -35 dove il filone era stato indagato con esito negativo nel tratto dal
28L al 37L. - Si suggeriva una ricerca in profondità al di sotto del livello -35
nel tratto 31L-34L fcir ca 60 m in estensione).
• Veniva auspicata la ricerca della prosecuzione del filone a Nord di P. Alda
oltre la fa-glia che interrompe la continuità.
Altri particolari che emergono da tale studio sono: 1) Nel filone conosciuto,
l'altezza della parte coltivabile varia da un minimo di 150 metri ad un massimo
di 200 metri.
Questo sia che la mineralizzazione abbia inizio dall'affioramento, sia che inizi
ad una quota qualsiasi al di sotto della superficie.
Ciò costituiva una notevole limitazione alle possibilità di nuovi ritrovamenti
almeno in alcune zone. 2) La possibilità che il filone continui, completamente
vergine, a Nord del Pozzo Alda do-ve una faglia con direzione N-E potrebbe aver
dislocato il filone stesso.
Tale ipotesi potrebbe essere avvalorata dalla persistenza delle caratteristiche
dell'ar-gilla che si mantengono invariate lungo tutto il filone. Soprattutto il
fatto che si manten-ga invariata la potenza lascerebbe supporre che sia
interrotta da una faglia, essendo logico pensare che nella regione dove la
spaccatura avesse il suo termine, i movimenti andreb-bero gradualmente
attenuandosi, dando luogo ad una corrispondente variazione dello spes-sore e
delle caratteristiche dello strato d'argilla.
Gli anni seguenti furono marcati da una lenta ripresa dell'attività.
Nel 1946 erano accertate circa l00.000 tonnellate di materiale utile, pari a
circa 3 anni di vita della miniera e si rimarcava come il futuro della miniera
stessa fosse stretta-mente legato all'esito delle ricerche che, vincendo
difficoltà economiche e incertezze, erano state proseguite per assicurare un
certo avvenire all'attività.
Gli operai addetti all'interno erano 39 mentre quelli addetti all'esterno e
all'impian-to erano 111.
Alla fine degli anni '40, segnati da una serie di agitazioni degli operai e da
un crollo dei prezzi dei minerali di piombo e zinco, la miniera disponeva di
riserve accertate per circa 160'000 tonnellate.
La produzione era di 250 tonn. di grezzo con una resa di mercantile al 12 di cui
2.4 di galena al 60 in Pb e 9.6 di blenda al 58 in zinco.
Le ricerche proseguivano in zona Piata dove era in approfondimento il P. Alda e
nel-la zona Podestà dove il nuovo Pozzo Umberto, intestato alla quota -220,
aveva raggiunto la massa mineralizzata alla quota -250 e la seguiva in
direzione.
Le speranze per la vita della miniera venivano riposte in queste ultime
ricerche, sempre più profonde, e sulla possibilità di incrementare il
trattamento delle sabbie minerali che costituivano l'arenile prossimo alla
miniera.
Anni '50
Gli anni '50, forse per l'incremento dei lavori non sempre seguiti da adeguate
misure di sicurezza, iniziavano con una serie di infortuni molto gravi.
Alcuni di tali infortuni sono ben documentati ed è facile ricostruirne la
dinamica, altri sono ricostruibili attraverso le testimonianze orali di alcuni
operai che in gioventù operarono all'Argentiera, ma spesso non si conosce il
nome degli infortunati e non sem-pre è possibile definire l'esito di molti
infortuni.
• Ad esempio il 9.3.1950 due operai ripresero lo scavo
di un fornello, quando ancora non aveva avuto luogo la sfumata della precedente
volata in quanto la base del fornello stesso era parzialmente ostruita da parte
del materiale abbattuto.
I due operai subirono quindi un grave infortunio per la mancanza di aria.
Dal rapporto esaminato non è stato possibile risalire al nome dei due
infortunati, ne al luogo preciso dell'incidente ne all'esito dell'infortunio
stesso.
• Appena due mesi dopo, il 9 maggio 1950, l'operaio
MANCA Salvatore, noto Barore, si trovava al livello -220 e si apprestava ad
entrare nella gabbia del Pozzo interno Umber-to per recarsi al sottostante
livello -250. Appena entrò in contatto con l'intelaiatura in ferro della gabbia,
venne colpito da una scarica elettrica restandone fulminato.
I nuovi lavori e le ricerche si svolgevano al livello
-250 che veniva sviluppato sia ver-so Nord Est sia verso Sud Ovest. Nei cantieri
superiori -220, -175, -125 e -75 proseguivano i vari gradini di coltivazione.
Gli sforzi per la ricerca vennero notevolmente intensificati, tanto che anche il
livello •220 veniva ripreso nei due sensi per ricercarvi il filone nonostante il
parere negativo a tale ricerca chiaramente espresso dagli estensori della citata
nota del giugno 1945, pre-disposta per la Direzione Generale della Correboi.
Inoltre in tutti i cantieri venne introdotta la perforazione a umido eseguita
con mar-telli perforatori Atlas montati su servo sostegno.
Tale innovazione riduceva solo in parte la elevata polverosità delle lavorazioni
che tanto aveva inciso sulla salute dei minatori. Purtroppo non si hanno a
disposizione i dati statistici sulla entità dei danni creati dalla silicosi,
malattia professionale che nella mi-niera dell'Argentiera ha senza dubbio avuto
notevole sviluppo a causa della ricchezza in silice degli ambienti di lavoro.
A scopo di ricerca, negli avanzamenti, erano state attrezzate anche piccole
sonde per eseguire fori lunghi sino a 15 metri indirizzati a ventaglio dalla
fronte di avanzamento. Tale tipo di indagine consentiva di indirizzare le
gallerie nel modo più opportuno.
I trasporti all'esterno, tanto del minerale mercantile verso Porto Torres,
quanto dei materiali di ripiena dalla laveria ai fornelli di getto ubicati
all'esterno, venivano fatti me-diante autocarri il cui esercizio si era rivelato
più economico rispetto ai trasporti su binario.
Relativamente al 1951, si ha notizia di due gravissimi incidenti:
• Il primo avvenne il 16 marzo in un cantiere di
coltivazione della zona Piata a causa di un distacco di roccia dalla corona (il
primo incidente avvenuto nel cantiere Piata di cui si abbia notizia nei rapporti
ufficiali, ma è descritto in termini molto generici).
Nel rapporto si indica: «Il Capo Compagnia, imprudentemente, per effettuare il
di-sgaggio dopo la volata, si era disposto, per forzare il blocco da cui fu
investito, al di là della zona protetta dall'armamento».
Non si conosce l'esito dell'infortunio.
• Del secondo rimase vittima l'operaio RAVOTTI Mario
mentre eseguiva alcuni lavori all'esterno della laveria.
L'infortunio, avvenuto il 2 giugno 1951, è illustrato e descritto da G.F.
Madarese.
Dai primi anni '50, al fine di aumentare la produttività dei cantieri, vennero
speri-mentati diversi metodi di coltivazione del giacimento e vennero
predisposte numerose e interessanti relazioni tecniche le quali, mettendo in
evidenza tutte le difficoltà del gia-cimento, confermavano come le
caratteristiche del minerale e della roccia incassante fos-sero tali da non
lasciare particolari margini nella scelta di metodi di coltivazione alternativi
a quelli da sempre adottati con buoni risultati ed in particolare al metodo del
«Gradino montante con ripiena al piede».
Le coltivazioni si svolgevano con una certa concentrazione nella cosiddetta
«Lente Um-berto» nei livelli più profondi del cantiere «Podestà».
Le ricerche interessarono la possibile estensione della fascia filoniana sia
nella zona «Piata» sia nella zona di «Galleria a Mare».
Nella prima, a nord est di Pozzo Alda, veniva individuata, mediante indagini
superfi-ciali e rilievi geofisici, la prosecuzione della frattura ospitante il
giacimento e la presenza per una estensione di circa un Km dell'argilla che,
nella stessa frattura, accompagna sempre il giacimento.
Altre ricerche interessarono la zona a sud della «Galleria a mare» per
verificare la possibile prosecuzione in mare del filone già seguito e coltivato
in terraferma.
Le indagini vennero intensificate anche nei vari livelli della miniera
eseguendovi sondaggi e traverse. Tali indagini avevano come scopo la ricerca di
eventuali lenti mineralizzate parallele alla mineralizzazione principale e che
si riteneva potessero essere legate ad altre fasce di argilla non conosciute in
affioramento.
Nel 1952 iniziò il livello -295 nella lente Umberto mentre le coltivazioni
avvenivano nelle più diverse zone della miniera rendendo particolarmente oneroso
il mantenimento delle numerose strutture necessario per tenere aperti tutti i
cantieri.
I vecchi cantieri Rietto, Calabronis, ecc., coltivati dagli antichi e ripresi in
tempi di-versi nel corso della vita della miniera, venivano ulteriormente fatti
oggetto di attenzio-ne da parte della Dirczione della Miniera che decideva di
ritornare in tali zone coltivate tanto per vedere se il minerale lasciato in
posto dalle vecchie coltivazioni fosse economi-camente coltivabile, quanto per
effettuare nuove ricerche «a tetto» delle note argille.
Infatti le antiche coltivazioni avevano interessato sempre la zona «a letto»
delle ar-gille^ seguendo il concetto che le stesse argille formassero il tetto
della mineralizzazione e quindi ne costituissero un limite certo, ma in tempi
recenti alcuni ritrovamenti di mi-nerale a tetto delle argille nelle zone
intorno a Pozzo Podestà fornivano nuovi indirizzi alle ricerche.
Tutto il grezzo prodotto veniva estratto dai Pozzi Podestà e Alda e, mediante
auto-carri, portato in testa alla laveria dove il processo di flottazione era
attuato con acqua di mare. Solo negli ultimi passaggi veniva immessa acqua dolce
al fine di ridurre la per-centuale di doro a valori accettabili.
Per l'approvvigionamento dell'acqua marina era stata utilizzata sino al 1953 una
gal-leria che arrivava sino al mare e nella quale erano installate le
pompe.
Ma il sistema causava diversi inconvenienti per la continuità del rifornimento
in ca-so di mare agitato per cui si decise di effettuare un pozzo profondo 4-5
metri, a poca di-stanza dal mare sulla riva sabbiosa, dove l'acqua potesse
arrivare per infiltrazione e quindi rendere l'approvvigionamento indipendente
dalle condizioni del mare .
Tali anni, segnati da nuovo fervore di ricerca e produzione, vennero però
funestati da diversi incidenti mortali.
Relativamente ad alcuni incidenti esistono rapporti dettagliati mentre di altri
si co-noscono solo alcuni aspetti tramandati dai vecchi, che si riportano per
intero nella pre-sente nota, ma che non hanno trovato riscontro nella scarsa
documentazione disponibile per quegli anni. • Gli anziani ricordano i tragici
episodi di FOIS Pietro, deceduto dopo essere stato inve-stito da una frana, di
COSSU Cheleddu schiacciato dalla gabbia, di ZUNNUI France-sco precipitato in un
fornello, di CABULA Sebastiano che, in data 15.11.1953, rimase schiacciato da un
vagone contro la parete di una galleria nei pressi di una curva. • Un
avvenimento che colpì tutta la popolazione fu il tragico incidente di cui rimase
vit-tima il giovane geometra Cavino GAVINI, precipitato all'interno di un
fornello mentre eseguiva un rilievo in miniera.
Gli anziani narrano che il giovane, di 25-26 anni di età, molto noto anche
perché giocava nella locale squadra di calcio, aveva subito un intervento
chirurgico ad una mano e che questa non si fosse ancora completamente
ristabilita, impedendogli di sor-reggersi adeguatamente in quell'attimo di
disattenzione. A Lui venne dedicato il cam-po sportivo che sorse nei pressi di
Cala Onano.
All'esterno, in data 12 febbraio 1953, avvenne il tragico incidente di SARÀ
Francesco.
Nella seconda metà degli anni '50, al livello -220 non si avevano più
lavorazioni a causa dell esaurimento della zona mineralizzata.
Il livello -220 era ormai adibito solo al trasporto della ripiena e al trasporto
del mi-nerale prodotto in zona Piata che dal 1956 veniva trasportato sino al
Pozzo Podestà me-diante vagonetti trainati da locomotore.
Sempre nel 1956 veniva scavato il livello -325 che costituiva il punto più
profondo della miniera, dove la mineralizzazione andava riducendosi in spessore
e sviluppo longitudinale.
Un vecchio minatore racconta un episodio avvenuto in un
giorno non precisato del 1956 all'interno della gabbia che, piena di minatori,
scendeva lungo il Pozzo Podestà verso il livello -220.
• Ad un giovane minatore sfuggi l'elmetto, che cadde nella canna del Pozzo. La
gabbia non era chiusa con cancelli o reti bensì con un'unica sbarra in ferro
bloccata con un gancio, ripresa in altra miniera sarda.
Il giovane minatore tentò istintiva-mente di bloccare la caduta dell'elmet-to
allungando una gamba all'esterno del vano gabbia che in quel momento pas-sava
davanti ad uno dei tanti livelli col-legati con il pozzo (probabilmente si
trattava del -75). Purtroppo la gamba si incastrò e il giovane stava per essere
tra-scinato all'esterno e tranciato dalla stes-sa gabbia che continuava il suo
percorso verso il basso, quando il minatore Tri-vero Francesco di Mamoiada, con
pron-tezza di riflessi, lo afferrò saldamente riuscendo a trattenerlo
all'interno del-la gabbia e correndo egli stesso il rischio di essere trascinato
fuori.
Il ferito venne riportato all'esterno per essere accompagnato all'ospedale, dove
gli vennero riuscontrate alcune fratture.
Gli altri operai, compreso Trivero, raggiunsero i vari cantieri di lavoro. Il
Trivero, che lavorava come perforatore nei livelli più profondi della miniera,
venne raggiunto un'ora più tardi dall'in-gegnere francese De Feraudy, vice
diret-tore della miniera e dal perito minerario Aldo Seno, capo servizio del
sottosuolo, che si complimentarono con Lui ringra-ziandolo anche a nome di quel
giovane minatore a cui aveva certamente salva-to la vita.
Il Trivero non incontrò più il giova-ne che aveva salvato il quale, una volta
dimesso dall'ospedale, lasciò per sempre la miniera.
Episodi come questo, di grande so-lidarietà, sono stati frequenti in passa-to,
ma spesso sono poco documentati.
Per mantenere in vita la miniera si eseguivano coltivazioni e ricerche nelle più
diver-se zone.
Una idea della vastità della miniera e della distribuzione sparsa dei cantieri
in colti-vazione alla fine del 1956 è fornita dal numero, dei livelli
praticabili e dei chilometri di gallerie aperte e oggetto di manutenzione: ZONA
PLATA: Livelli +45, +5, -35, -75, -105, -140, -220 (non erano più in uso il
Pozzo Vec-chio e il Pozzo Piata); POZZO PODESTÀ: Livelli -5, -75, -125, -175,
-220; POZZO UMBERTO: Livelli -250, -285, -325; MINIERA VECCHIA (zona alta):
Livelli +30, +50.
Nel 1957 gli addetti alla miniera erano ancora circa 320 di cui circa 170
all'interno, 120 all'esterno e 30 impiegati tecnici e amministrativi.
Anni '60 e chiusura della miniera
Gli anni '40 e i primissimi anni '50 furono caratterizzati dall'abile
dirczione dell'ing. Olindo Zera, mentre negli anni '50 e sino alla chiusura
degli impianti si ebbe il succeder-si di diversi direttori: Ing. Boschetti, Ing.
Balbusso, Ing. Moraillon , Ing. Meloni, Perito Minerario Aldo Seno.
Nei primi mesi del 1960 il numero globale degli operai scese a 238 di cui 138
addetti all'interno. Sempre in tale anno la maggior parte della produzione
derivava dalla ripresa delle vecchie coltivazioni tra il livello -5 e il livello
+ 50.
Nei livelli profondi le coltivazioni erano sparse nelle diverse aree e ciò
costringeva a tenere aperte numerose gallerie la cui manutenzione diventava
sempre più onerosa dal punto di vista economico.
Alla fine del 1961, nonostante la ridotta attività mineraria, nel cantiere di
Pozzo Po-destà.avvenne un altro incidente mortale: • L'operaio DESSÌ Darlo,
mentre stazionava nella ricetta del livello -175 in attesa del-l'arrivo della
gabbia, venne colpito da un grosso chiodo caduto nel pozzo per cause
imprecisate.
Non sono stati trovati rapporti dettagliati relativi all'incidente.
—chiusura della galleria di accesso al livello +30 con frana all'imbocco.
—chiusura pure con frana all'imbocco della galleria di riflusso della zona
Podestà a quo-ta +10, sotto Punta Argentiera. ZONA CALABRONIS —chiusura dei
fornelli 17-21-23-25 di approvvigionamento dei cantieri omonimi, secondo la
distinzione progressiva dei piani recenti, e di n. 12 vecchi pozzetti di
esplorazione con riempimento a sacco con materiale di discarica; —imbocchi delle
gallerie di accesso ai livelli +70 e +50 con muro di pietrame a secco di 40 cm.
Lo sbarramento al +70 è stato fatto a 7 metri dall'imbocco; quello del +50
è stato effettuato a circa 25 m. dall'imbocco, preservando così il tratto
iniziale di inte-resse storico che resta chiuso con cancello.
È stata inoltre ripristinata e irrobustita la recinzione con paletti metallici e
trefoli dei vecchi scavi a giorno lungo l'affioramento del filone Argentiera.
Si precisa che non sono stati disposti provvedimenti aggiuntivi di sicurezza e
di con-servazione in quanto non ritenuti necessari.
Redatto, letto e sottoscritto in località Argentiera addì 20.1.'64.
Firmato: II Direttore (Per. Min. Sig. Aldo Seno) L'Ingegnere delle Miniere
(Alfonso Felici)
Con tale breve atto formale si concludeva la vita dell'Argentiera. Conclusioni
La raccolta e la sintesi del materiale tecnico riguardante la miniera da luogo
ad una relazione solo apparentemente fredda e distaccata. Nelle vecchie carte
esaminate ho sco-perto il profondo aspetto umano che in miniera si viveva giorno
per giorno.
Il provvedimento di chiusura, che non poteva certamente essere accettato di buon
grado, fece nascere notevoli resistenze in molti di coloro che abitavano
all'Argentiera e che tutt'oggi, nonostante l'età avanzata, vi abitano ancora o
vi tornano ogniqualvolta le condizioni lo consentano.
Per cogliere questo forte legame riporto alcune dichiarazioni di operai ed
impiegati della società e di persone estranee a questa.
Da un rapporto relativo ad una visita effettuata all'Argentiera da un ingegnere
del Distretto Minerario di Iglesias nell'aprile del 1963 si riporta tra l'altro:
«Si sono, poi, ascoltati il parroco, il collocatore della manodapera, l'analista
della Correboi ed alcuni operai.
Lo scrivente non ha elementi per dire se la scelta di queste persone sia stata
det-tata da precisi motivi (esposti, corrispondenze, ecc.) oppure si sia
trattato di una pura scelta casuale.
Da quanto esposto dalle persone suddette e dalle domande poste dai funzionar!
dell'Assessorato, si ha il quadro seguente della situazione: in genere, tutti
accusano la società Correboi di avere ingiustamente abbandona-to le lavorazioni
nella miniera e nei permessi. Rispondendo però a domande più precise e
dettagliate, finiscono per ammettere che nella miniera è rimasto solo quel poco
minerale che non potrebbe giustificare il mantenimento di una orga-nizzazione
complessa e costosa come quella di una miniera.
Si sono citati operai che avrebbero eseguito occultamenti di zone minera-lizzate
(ma per ordine di chi?); questi testimoni minatori chiamati, smentiscono ed
affermano trattarsi di un equivoco ed anche loro ammettono che, in fondo, quello
che può essere! rimasto, di minerale, non compenserebbe le spese per
l'e-strazione. Sembrerebbe, cioè, ripetersi quel fenomeno psicologico proprio
della gente di miniera, fenomeno che si ripete per ogni dove puntualmente in
occasio-ne di chiusura delle miniere: una specie di reazione collettiva
all'evento temuto e poi attuatesi, reazione che porta tutti ad elaborare
fantasticherie di ogni gene-re. Portati, però, a seguire un ragionamento logico
— con precise domande — finiscono, poi, per considerare le cose da un punto di
vista più reale».
Si alimentarono sospetti anche nei confronti dei tecnici incaricati di eseguire
le pre-scrizioni del Distretto Minerario per poter materialmente chiudere tutti
gli accessi al sot-tosuolo.
All'atto della chiusura, il Direttore dei Lavori era il Perito Minerario Aldo
Seno che lavorava nella miniera da circa 30 anni e ne conosceva tutti i
particolari e tutti i segreti.
Ho conosciuto il signor Seno, persona molto seria e, a detta dei tecnici del
tempo tra i quali anche mio Padre, tecnico molto capace e innamorato del proprio
lavoro.
Credo che la chiusura della miniera sia stata per Lui un motivo di grande
tristezza significando anche la fine della sua attività lavorativa e
dell'impegno professionale.
Le difficoltà della miniera emergono nelle relazioni di tutti i periodi:
probabilmente solo nei primi anni del '900 si avevano riserve conosciute per
poter programmare la mar-cia della miniera per un certo numero di anni.
Successivamente, problemi legati a diffi-coltà di ricerca, di mercato, di
trasporti e fermate di varia natura condizionarono periodicamente l'attività
mineraria.
Oggi è possibile, con assoluta serenità, ricostruire le motivazioni che circa 35
anni orsono hanno condotto alla chiusura della miniera.
L'esame della documentazione evidenzia il progressivo esaurimento del giacimento
verso il basso e l'aumento notevole dei costi che la miniera doveva sostenere
con l'appro-fondirsi dei lavori, spese non compensate da positive variazioni del
prezzo dei metalli.
Tutte le ricerche effettuate ai livelli superiori mediante sondaggi e gallerie
al fine di reperire eventuali fasce mineralizzate parallele alla
mineralizzazione principale, fal-lirono.
Si progettò una ricerca verso il mare e sotto il mare ipotizzando lo scavo di un
pozzo profondo 55-60 metri, nei pressi della «Galleria a mare» alla quota +10,
e, dalla base di esso, il tracciamento di una galleria nel filone, sotto il
mare, verso ponente.
La ricerca non venne mai effettuata anche per il rischio che tali lavori
avrebbero com-portato.
Altre ricerche, effettuate a nord della zona Piata, rinvennero la prosecuzione
della nota fascia argillosa, ma all'argilla stessa non si accompagnava la
mineralizzazione.
Anche i dati riportati su varie note geo-minerarie ed economiche elaborate a
cura di tecnici di diverse nazionalità e in tempi diversi forniscono quel quadro
complessivo molto difficile che doveva sfociare nella chiusura della miniera.
Purtroppo in Sardegna, quando una miniera chiude, si tratta della chiusura di un
piccolo mondo che ha interessato diverse generazioni.
Il momento emotivo è forte e tanto più lo è stato all'Argentiera dove nel corso
del tempo si era venuta a creare una comunità quasi completamente staccata dal
resto del-l'isola. Infatti, in termini di collegamento con il mondo esterno,
poco era cambiato in cir-ca un secolo di attività mineraria dal lontano viaggio
di Quintino Sella in Sardegna che nel 1869 lo portò anche all'Argentiera e che
Eugenio Marchese, che lo accompagnava, descrisse nel suo libro «Quintino Sella
in Sardegna»:
«... scendemmo a poco a poco sulla landa deserta che è frapposta a Sassari e al
gruppo montuoso della Murra, che forma l'estremità nord-ovest dell'isola.
Questo tragitto si può fare in sei o sette ore di cavallo, quando il cavallo non
• si allenta per la strada. Ed è perciò che eravamo partiti verso la una
pomeridia-na onde arrivare all'Argentiera verso il calar del sole».
I particolari del viaggio erano stati curati da un professore del Liceo di
Sassari che però non aveva calcolato al meglio i tempi di percorrenza che si
erano notevolmente al-lungati a causa di frequenti fermate. ^^™
Soltanto verso le ventidue e trenta la comitiva arrivo al piccolo Porto della
miniera da dove...
«una folla di lumi da minatore si muoveva incontro verso di noi, da tante ore
aspettati inutilmente». • j-1 •
L'accoglienza fu cordialissima oltreché singolare per quella processione di lumi
a pendolo, la quale ci seguiva su per la strada che metteva alla casa della
Direzione; casetta molto modesta, quale si conveniva ad una miniera poco più che
incipiente, e in questo estremo lembo dell'Isola.
La tavola era imbandita, e ad essa sedemmo oltre il Sella ed i compagni di
viag-gio gli ingegneri, gli impiegati della miniera ed i capi minatori, in tutto
forse una ventina. Gli ingegneri erano belgi: tutti gli altri italiani; e
un'animata con-versazione in francese, con affioramenti locali di italiano e di
piemontese, tenne vivo il brio di quella notturna riunione di minatori».
Il giorno successivo venne effettuata una minuziosa visita in miniera il cui
punto ne-vralgico, a quei tempi, era la galleria Calabronis.
Visitati i lavori antichi e nuovi, si proseguì pel monte, lungo le tracce
dell'affio-ramento, fin sull'estremo alto promontorio che confina a picco con il
mare Me-diterraneo, e che forma la sporgenza più occidentale dell'Isola».
Dopo una serie di considerazioni sul mare come grande via dell'umanità e al
quale si deve il rapido propagarsi delle civiltà antiche, di cultura e di
scienza, il Marchese prosegue:
«A malincuore ci allontanammo dall'attraente spettacolo del mare. Il tempo
in-calzava Ridiscesi alla casa della miniera, e fatta una colazione sommaria, ci
ri-mettemmo a cavallo per ritornare verso levante, dirigendoci pero questa
volta, non già verso Sassari, ma verso Porto Torres».
Verso la fine del secolo i collegamenti con l'Argentiera erano sempre difficili
come si rileva da un rapporto del 1896 dell'ing. Bertolio del Distretto
Minerario di Iglesias, che incaricato di una ispezione ordinaria alla miniera,
segnalava che dopo un lunghissi-mo viaggio in treno da Iglesias a Porto Torres,
impiegò altre quattro ore e mezza per per-correre a cavallo una strada
mulattiera che collegava Porto Torres alla miniera stessa.
Nel maggio 1951, il tempo di percorrenza dei 250 chilometri che separano 1
Argentiera da Iglesias era, con i mezzi pubblici allora esistenti, di oltre 12
ore come si rileva da uno scritto che mio Padre, appena giunto all'Argentiera,
inviò a mia Madre dandole indicazioni per il viaggio.
Ricordo che, ancora nei primi anni '60, la miniera era collegata a Sassari con
un una «Corriera» che partiva la mattina alle ore 6.00 dalla zona del
«Dopolavoro» e raggiungeva Sassari solo dopo due ore a causa della strada
parzialmente dissestata.
Il pomeriggio, alle ore 16.00, la stessa «Corriera» guidata dall autista Franco
Tinti ripartiva da Sassari, zona Emiciclo, alla volta dell'Argentiera dove
giungeva alle ore 18.00.
I 40 chilometri di strada che separano l'Argentiera da Sassari furono asfaltati
solo dopo la chiusura della miniera.
Questi aspetti dimostrano come la chiusura di quest'ultima non rappresentasse la
semplice fermata di un impianto industriale, ma venisse vissuta dagli abitanti
dell Ar-gentiera come lo smantellamento dell'intera comunità che si era sempre
più radicata in-torno alla miniera stessa. . ,
Questa sensazione forte, seppure con motivazioni diverse da quelle di chi vi
lavorava, la avvertii io stesso pensando a tanti giovani Amici che,
probabilmente, non avrei mai più incontrato.
Oggi che il sito minerario tende a rivitalizzarsi nel periodo estivo con
l'arrivo di nu-merosi turisti, ritengo importante che questi, oltre alla
bellezza del paesaggio e del ma-re, possano cogliere gli aspetti caratterizzanti
della attività mineraria che si svolse in quel sito e l'entità dei lavori
effettuati da tecnici e maestranze per assicurarne lo sviluppo per oltre un
secolo.
Mi auguro che le principali strutture minerarie esterne ancora indenni da
manipola-zioni vengano salvaguardate e valorizzate in analogia a quanto avviene
nei paesi più civi-li e che il ricordo della attività mineraria e di coloro che
vi persero la vita, resti sempre presente nella borgata. A tal fine spero che
venga studiata una appropriata toponomasti-ca che tenga conto di questi
fondamentali aspetti, perché le generazioni future possano più facilmente
comprendere il grande sacrificio e la millenaria cultura espressa da quel
piccolo mondo minerario ormai scomparso.
LUCIANO OTTELLI
Castelmeteo. Un sito dedicato a Castelvetro di Modena, meteorologia, arte, gallerie di foto antiche, moderne e la storia dell'antica fornace. A cura di Vinicio Cavallini
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